Utente:Milo Laerte Bagat/Cime varicose

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CIME VARICOSE

Capitolo 1

Avrei dovuto capire che quel caso mi avrebbe portato solo guai. Ma sono due le cose a cui non so resistere: una ventiquattrore piena di soldi e un bel paio di poppe.
E l’ometto coi baffi che mi stava seduto davanti le possedeva entrambe.
“La mia richiesta è molto semplice,” disse l’ometto, che si chiamava Crapuloni. “Lei deve pedinare mia moglie.”
Sembrava tranquillo, ma le sue mani tormentavano nervosamente la camicetta, fino a scoprire il reggiseno in raso nero.
“Molto bene.” Mi presi qualche secondo per analizzare la faccenda e far passare l’erezione. “Prima di accettare l’incarico vorrei farle qualche domanda.”
“Faccia pure,” acconsentì con bonomia l’ometto.
“Prima domanda: lei si rende conto, suppongo, di essere in possesso di un paio di poppe? Un bel paio di poppe, se mi è permesso dirlo.”
Crapuloni sorrise lusingato e, con un gesto involontario, prese a titillarsi i capezzoli: “Oh, certo! E ne sono orgoglioso. Queste bellezze mi sono costate un milione di dollari a testa, ma ne è valsa la pena.”
“Concordo con lei. Seconda domanda: perché vuole che pedini sua moglie? Sospetta un tradimento?”
“Proprio così. Temo che mi tradisca con Armando, il mio insegnante di capoeira.”
“Mi spiace…”
“A me no. Odio quella stronza. Io vorrei il divorzio, ma lei non vuole concedermelo. Però, se riesco a dimostrare che lei mi tradisce, posso ottenere il divorzio senza sganciarle un centesimo. E qui entra in gioco lei.”
“Non mi pare un affare molto pulito…”
Il sorriso sparì dalla faccia dell’ometto. “Lo so. È per questo che mi sono rivolto a lei, il peggior investigatore privato della città.”
Incassai l’insulto con aplomb. “Così mi ferisce.”
“No, COSÌ la ferisco!” E senza alcun motivo Crapuloni mi piantò una forchetta nella coscia.
“Ahi! Lei è pazzo!” Sorpreso e dolorante, mi alzai in piedi, ma Crapuloni mi diede una spinta e mi rimandò a sedere.
“Volevo farle capire che non scherzo. È chiaro il concetto?”
“Francamente, no.”
Crapuloni fece per infilzarmi di nuovo e allora lo stoppai con una domanda a bruciapelo: “Crede davvero che io sia così disperato da accettare l’incarico?”
Crapuloni mi guardò con il disprezzo che di solito riservava al filippino che gli tagliava le unghie dei piedi. “Sì. Lei ha la barba lunga, i suoi vestiti sono stazzonati, e soprattutto,” con un gesto circolare indicò la stanza, “ci troviamo in un bagno invece che in un ufficio.”
“Beh, è un bel bagno.”
“Sì, ma è il mio bagno.”
Era vero e lo sapevamo entrambi. Profondamente umiliato, rimasi seduto sulla tazza del water per un tempo che mi parve interminabile. Poi, finalmente, riuscii a fare la cacca.
“Guardi che prima di fare la cacca bisognerebbe alzare il copriwater.”
“Copriwater? Proprio vero che l’uomo è ormai schiavo della tecnologia!”
Dopo aver pulito la tazza con un accappatoio tigrato che trovai lì vicino, comunicai a Crapuloni la mia decisione: “Accetto l’incarico.”
“Saggia decisione.” L’ometto aprì la valigetta, afferrò una mazzetta di banconote e me la lanciò. “Questo è un anticipo. Può cominciare a lavorare.”
Ero già con un piede fuori dalla finestra quando aggiunse: “Ah, comunque quello che ha usato per pulire non era un accappatoio. Era il mio soriano.”
Non volevo dargli la soddisfazione di cogliermi impreparato un’altra volta, perciò gli risposi: “Lo so. L’ho fatto apposta.”

Capitolo 2

Era un afoso venerdì pomeriggio di fine novembre, e io ero appostato davanti alla palestra frequentata dalla signora Crapuloni. Era un ampio complesso che ospitava anche una scuola media, un’edicola, una friggitoria vietnamita e la locale sede del Ku Klux Klan. Per non dare nell’occhio, mi ero finto un pedofilo e usavo la mia Canon per fotografare le tredicenni che uscivano da scuola.
Di tanto in tanto ingannavo l’attesa ripetendo le informazioni sulla donna che dovevo pedinare. Liz Tampax in Crapuloni, trentacinque anni, ex soubrette, misure da ragazza pin up, QI di un copripiumino, alle spalle una denuncia per atti osceni durante la fila per l’Eucarestia. Sì, il caso era decisamente interessante.
Dall’edicola si affacciò il proprietario, un vecchietto smunto. Scaracchiò con signorilità sul marciapiede e disse: “Giornata calda, eh?”
Risposi di sì. Gravissimo errore: il vecchietto interpretò la risposta come un’autorizzazione a smerigliarmi le palle e passò le successive tre ore a raccontarmi la sua vita. Via via che procedeva nel racconto si faceva malinconico.
“Secondo lei mi diverto a fare l’edicolante? Pensa che fosse il mio sogno fin da bambino passare le giornate a vendere quotidiani?”
“Non lo so. Ma non c’è niente di male a fare l’edicolante, è un lavoro onesto. C’è di peggio in giro.”
“Tipo?”
“Tipo fare la battona.”
“Lo sa che una battona prende in una notte di lavoro quel che io prendo in un mese?”
“Però una battona ha degli obblighi professionali che lei non ha. La gente viene da lei per comprare il giornale, non per, con rispetto parlando, farsi succhiare l’uccello. Almeno spero.”
“Resta il fatto che una battona guadagna più di me.”
“Peccato che quei soldi finiscano al suo pappone.”
“Non gliel’ha mica ordinato il dottore di fare le battone, conoscono i rischi del mestiere.”
“Che le devo dire, venda l’edicola e cominci anche lei a battere in statale.”
Il vecchietto posò le mani sul bancone dei settimanali con aria pensierosa. Per un attimo temetti che stesse soppesando i pro e i contro della proposta. Ebbi una fugace visione mentale dell’edicolante, in tacchi alti e minigonna, impegnato ad ancheggiare a bordo strada per attirare gli automobilisti. Scacciai l’immagine con un brivido.
“È che mi annoio,” disse l’edicolante.
“Lo immaginavo.”
In quel momento vidi, con la coda dell’occhio, una donna sul marciapiede. Era lei, Liz Tampax. Impossibile non riconoscerla, con i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e quella scritta discreta (SCOPAMI) sulla maglietta. Piantai là l’edicolante e corsi in strada, appena un po’ impacciato dai dodici numeri de Le Ore che avevo acquistato per uso domestico. Liz stava tentando di attraversare la strada, ma il seno prosperoso le impediva di vedere a destra e sinistra.
Decisi di infrangere il mio codice deontologico e di lanciarmi in un abbordaggio spudorato: “Posso aiutarla, signorina?”
Liz posò su di me, uno alla volta, i suoi occhi viola incredibilmente sexy. “Oh, grazie.” E mi tese la mano.
Lanciai le copie de Le Ore addosso a un barbone che dormiva in una canaletta di scolo, il quale mi ringraziò indovinando in maniera sorprendente la professione di mia madre, e afferrai la mano di Liz. Cinque minuti dopo arrivammo al marciapiede opposto senza problemi, ma un po’ spettinati perché avevamo limonato.
Feci per lasciarle la mano ma Liz me la strinse più forte. “L’ho riconosciuta,” disse con aria maliziosa, “Lei è Dan Druff, l’investigatore privato famoso per non aver risolto alcun caso.”
Ero lusingato ma ci tenni a puntualizzare: “Veramente un caso l’ho risolto: sono stato io a consegnare alla polizia lo stalker che tormentava Michelle Hunziker.”
“E come ha fatto?”
“Mi sono costituito. Ma prego, non farti scrupoli, dammi pure del voi.” Avvicinai la mia testa alla sua per baciarla ancora ma la manovra fu interrotta da un’esplosione di urla e gemiti di dolore.
“Cos’è questo trambusto?”
“Niente di grave, è il solito raid punitivo del Ku Klux Klan contro quelli della friggitoria vietnamita. Lo fanno tutti i giorni alle sette.”
“Che cosa?” Non potevo credere alle mie orecchie. “Sono già le sette? Che ne dici di andare a bere qualcosa da me?”

Capitolo 3

Portai Liz a casa mia. Oddio, casa è una parola grossa. Sarebbe meglio dire garage. Ma a me e alla mia coinquilina Ivana, un’elegante pantegana di sedici chili, quell’alloggio andava più che bene.
Non perdemmo tempo con gli aperitivi: sei mesi prima avevo venduto il frigo per poter pagare l’eutanasia di mia madre, nonostante le pesanti obiezioni da parte dell’opinione pubblica e di mia madre stessa.
Ci buttammo a letto e, pazzi di passione, ci amammo in tutte le posizioni conosciute e approvate da Famiglia Cristiana. Furono i venti secondi più belli della mia vita. Dopo il coito accesi una sigaretta e, dato che trovo odioso fumare a letto, la inghiottii. Liz pareva addormentata, la testa adagiata sul cuscino. Guardai quell’incarnato diafano, accarezzai quelle curve morbide, assaporai il suo profumo. Niente da dire, ho proprio un bel cuscino. E anche Liz non era male.
In quel momento spalancò gli occhi e disse: “È stato bellissimo, ma devo tornare a casa. Non vorrei che mio marito si mettesse in testa strane idee.”
Arrossii ma riuscii a dissimularlo bene fingendo di allacciarmi le scarpe. Che non indossavo. “Sai, a questo proposito,” dissi infine, “non sono stato del tutto onesto con te. Non ho mai liberato una scolaresca di bambini sordomuti caduta in mano ad Al Qaeda. E soprattutto, sono stato assunto da tuo marito per pedinarti.”
L’ira deformò il suo viso: “Tu… tu… come hai potuto?”
“Mi pare ovvio. Per soldi.”
“Soldi! Siete tutti uguali voi uomini: volete solo impadronirvi del mio patrimonio!”
Non capivo. “Il tuo patrimonio? Ma tuo marito è ricco sfondato!”
Liz scoppiò in una risata amara: “Chi, quello? Ma se è più pezzente di te, e fidati, tu sei veramente pezzente. Ce la passiamo bene solo grazie al capitale che ho messo da parte organizzando corsi professionali di bukkake. Crapuloni,” lo chiamava proprio così, forse per disprezzo o forse perché tra coniugi dell’alta società va di moda chiamarsi per cognome, “è un incapace. Inoltre ho il forte sospetto che sia un omosessuale represso e che se la faccia col suo insegnante di capoeira.”
Questa poi! Non avrei mai potuto immaginare che un uomo con un tale paio di poppe fosse omosessuale. E se era vero, perché mi aveva incaricato di pedinare Liz? Perché mi aveva mentito? Perché…
Le mie elucubrazioni furono interrotte da un inconfondibile rumore di porta sfondata. “Certo che quelli di Mondolibri diventano ogni giorno più invadenti!” esclamai, e corsi in soggiorno per dirne quattro all’incauto venditore. Fu allora che un pugno grande abbastanza da sbriciolare San Marino si abbatté sulla mia tempia, facendomi perdere conoscenza.
Quando rinvenni, ero sdraiato sul letto. Liz era al mio fianco e mi guardava preoccupata. In piedi, nella stanza, c’erano tre persone: l’inappuntabile e pettoruto Crapuloni, un ragazzo magrolino in tuta da jogging e un tizio enorme le cui sopracciglia ringhiavano in maniera minacciosa.
“Ben svegliato, signor Druff,” disse Crapuloni.
“Questa è un’aggressione in piena regola! Che cosa ci fate qui?” Ero talmente arrabbiato che presi a calci Ivana, che scappò via con uno squittio indignato. L’indomani avrei dovuto fare pace: era lei che pagava l’affitto.
“Si calmi, o dovrò dire a Leonardo di colpirla di nuovo.” Indicò il tizio enorme.
“Lo faccia, se ne ha il coraggio,” lo sfidai.
“Di colpirla di nuovo,” disse Crapuloni.
Senza una parola, Leonardo si avvicinò, i pugni pronti a colpire. Aveva l’espressività di un sacchetto di immondizia, e puzzava di più. “Suvvia, Leonardo,” provai a blandirlo, “una persona che porta il nome del più grande artista di sempre non può abbandonarsi a un atto di violenza gratuita.”
“A me i film di Pieraccioni fanno cagare,” disse Leonardo, e mi sparò un cazzotto al plesso solare, dovunque esso sia.
Caddi a terra senza fiato, mentre Liz si chinava di me ricoprendo i tre di insulti: “Maledetti! Porci! Assassini! Commercialisti!”
“Mentre lei rantola, signor Druff, ne approfitto per fare le presentazioni. Ha appena conosciuto Leonardo, la mia guardia del corpo. Questo invece è Armando, il mio amante.” E mollò una vigorosa strizzata di palle al magrolino in tuta da jogging, che strillò garrulo.
“Cosa… volete?” boccheggiai.
“Molte cose. Andare a vivere con Armando. Una villa a Saint Tropez. Una Jacuzzi in salotto. Una vaginoplastica che mi renda finalmente donna.”
“Tutte cose che potresti ottenere grazie ai miei alimenti,” disse Liz con un brivido di disgusto.
“Esatto, cara. Non devo fare altro che chiedere il divorzio e poi presentarmi in tribunale con le prove fotografiche della tua infedeltà, il giudice dovrà darmi ragione.”
“Se è per questo ti cornifico già con il salumiere, l’idraulico e il postino. Ah, e col ragazzo che la settimana scorsa ha sostituito il postino.”
“Lo so, cara. Ma è tutta gente poco fotogenica”.
D’improvviso compresi tutto. Ebbi lo stesso senso di vertigine che mi viene quando risolvo un cruciverba difficilissimo colorando tutte le caselle con l’Uniposca. “Lei mi ha usato come esca,” sussurrai.
“Esatto. Sapevo che un mandrillo infoiato come lei non avrebbe saputo resistere al fascino di Liz,” disse Crapuloni, mentre i suoi capezzoli turgidi si illuminavano di un riflesso diabolico.
“Io non sono affatto un mandrillo infoiato,” dissi piccato.
“In questo preciso momento sta montando la gamba del tavolo.”
“Touché.” Mi rimisi le mutande e tornai a sedermi sul letto.
Mio malgrado, ammiravo la determinazione con cui quel farabutto aveva portato avanti il suo piano. “Ho un’altra domanda: non sarebbe stato molto più facile fare dei fotomontaggi con Photoshop?”
“Lo so, ma io con certe diavolerie elettroniche non mi trovo a mio agio. E adesso mettetevi in posa che sto per accendere il magnesio,” e così dicendo Crapuloni infilò la testa sotto il telo di un’ingombrante macchina fotografica ottocentesca.
“Non credo che una prova ottenuta così abbia valore in sede legale,” dissi io.
Crapuloni sembrò colpito dalla mia affermazione. “Ha ragione. Forse dovrei uccidervi e occultare i cadaveri.”
“Ripensandoci, le foto compromettenti vanno benissimo.”
“Troppo tardi, ho cambiato idea. Leonardo, tramortiscili.”
Mi frapposi tra Liz e il gigante. “Se volete farle del male dovrete passare sul mio cadavere.”
“È esattamente quel che vogliamo fare,” disse Crapuloni. Poi Leonardo mi colpì per la terza volta e tutto divenne afroamericano.
Scrivere nero mi pareva brutto.

Capitolo 4

Mi risvegliai nella più completa oscurità, in un luogo stretto e angusto che non conoscevo. Capii come doveva sentirsi il criceto di Richard Gere.
Provai a sgranchirmi le membra ma avevo le braccia legate e le ginocchia in bocca. Il lavoro di un professionista, o di un chiropratico. D’un tratto qualcosa si mosse alla mia destra e mi toccò una spalla. Era Liz: “Dan, sei vivo?”
“Sì. Dove siamo?”
“Nel bagagliaio della mia Smart.” In effetti, sentivo sotto di me il potente ruggito di un motore a pile alcaline. La sua voce vibrava di terrore quando aggiunse: “Non so dove ci stanno portando.”
“Maledetto Crapuloni, me la pagherà! Ma non perdere la calma, adesso dobbiamo solo trovare qualcosa per forzare la serratura.”
“Aspetta, forse ho trovato il cric.”
“Quello non è il cric. È il mio pene.”
“Oh.”
“Però continua pure.”
I miei vergognosi tentativi di dare sollievo ai bisogni della carne furono stoppati da una brusca frenata che mi fece cozzare il cranio contro uno spigolo. L’auto si era fermata. Il portellone si aprì e nella tenue luce serale comparve l’efebico volto di Armando.
“Come state, piccioncini?” ci canzonò, “pronti a fare una passeggiata?”
Mi afferrò e mi tirò fuori dall’auto, e Leonardo fece lo stesso con Liz. Eravamo in aperta campagna. Lo capivo dall’inconfondibile frinire dei grilli, nonché dalla scritta APERTA CAMPAGNA posta su un cartello a un lato della strada. Crapuloni, poco distante, si guardava attorno e contemporaneamente svuotava la vescica, con il risultato di irrorarci tutti quanti d’urina.
A parte le mutande con le paillettes e il cappello da cowboy, ero completamente nudo. Per ripararmi dal freddo non ebbi altra scelta che affondare la faccia tra le accoglienti poppe di Liz. Leonardo mi diede una spinta: “Stai indietro, tu!”
Era essenziale guadagnare tempo, per cui colsi al balzo l’occasione e lo provocai: “Ehi, amico, non dirmi che sei geloso. E io che pensavo che anche tu facessi parte dei Village People!”
“Io sono etero,” ringhiò lui. “E comunque non dire certe brutte parole.”
“Intendi Village People?”
“No, facessi parte.”
“Basta con queste chiacchiere. Vi ricordo che se siamo qui è per un obiettivo serio,” abbaiò Crapuloni.
“Che è quello di unire i nostri corpi sotto lo sguardo complice e romantico della luna?” chiese Armando, accennando un passo di danza con fare lascivo.
“No. Cioè, sì, ma dopo. Prima,” e con una pausa teatrale Crapuloni estrasse una Colt dal proprio Wonderbra, “dobbiamo eliminare mia moglie e il detective inetto.”
Mi rivolse un’occhiata di scherno, a cui risposi con assoluta indifferenza. Del resto era chiaro che non stava parlando di me: io mi chiamo Druff, non Inetto.
L’ometto si rivolse a Leonardo: “Hai portato il badile, vero?”
La guardia del corpo spalancò la bocca nella tipica espressione di un uomo di Neanderthal alle prese con un’equazione algebrica: “Il badile? Veramente, io… ecco…”
Le vene sul collo di Crapuloni parevano esplodere: “Non l’hai portato? Ma che ti pago a fare, stupida sottospecie di gorilla dopato? E adesso come li seppelliamo?”
“Tranquilli, ho trovato io un badile,” disse Armando.
“Quello non è un badile. È il mio pene,” dissi io.
“Oh.”
“Però continua pure.”
“Ok, ok.” Crapuloni si leccò le areole di ambo i seni e sembrò ritrovare la calma. “Nessun problema. Intanto li ammazziamo e poi pensiamo a come disfarci dei corpi. Fateli inginocchiare.”
Armando e Leonardo non se lo fecero ripetere. In ginocchio, stretti uno contro l’altra, io e Liz attendevamo il colpo di pistola che avrebbe messo fine alle nostre sofferenze. Ma ci saremmo accontentati anche di un: “Siete su Scherzi a parte!”
In un bisbiglio che sapeva di disperazione e pillola contraccettiva, Liz mi chiese: “Dan, hai un piano?”
“Ce l’avevo, ma l’ho venduto per fare fronte ai debiti. Ma so cosa fare.”
Era vero. Mi era già capitato in passato di venir legato da un criminale o da una dominatrice sadomaso. Per togliermi dagli impicci, avevo smesso di tagliarmi l’unghia del mignolo destro nel 1985. Ora era lunga mezzo metro e resistente come una lima. In quello stesso istante, senza che i nostri rapitori se ne avvedessero, la stavo usando per segare le corde che mi imprigionavano le braccia.
Crapuloni posò la canna della Colt sulla mia fronte: “Un ultimo desiderio, signor Druff?”
“Sì. Non mi uccida.” Mi bastavano pochi secondi, le corde stavano per cedere.
“Temo che questo sia impossibile. E tu cosa desideri, mia cara?”
“Un bacio d’addio,” disse Liz.
Crapuloni si accarezzò i baffi indeciso. “Per quanto mi faccia ribrezzo baciare una donna, questa è una richiesta ragionevole,” acconsentì. “Ma solo un bacio innocente sulla guancia.”
Fece un passo in avanti verso Liz, e in quel momento le corde cedettero. Come un Alex Schwazer strafatto di Kinder Pinguì, saltai addosso a Crapuloni e gli colpii il polso con un calcio. La pistola cadde a terra tintinnando. Leonardo provò a prenderla ma Liz gli fece lo sgambetto. Mi tuffai e la presi io. Armando non stette a guardare e, con una piroetta plastica e un miagolio da gatto castrato, mi saltò sulle spalle e cominciò a graffiarmi la faccia.
“Fermo o sparo!” lo minacciai.
Ma Armando non ascoltava. Era in trance bellica e mentre mi graffiava ripeteva come un mantra i nomi delle principali case di mode francesi: “Chanel Christian Dior Louis Vitton Jean-Paul Gaultier Yves Saint Laurent…”
Gli affibbiai una gomitata al naso. Si afflosciò come un pene tra le mani di Margherita Hack.
Puntai la pistola contro i suoi complici. Leonardo alzò entrambe le braccia, sfoggiando una coordinazione di cui non lo credevo capace. Crapuloni si guardò attorno smarrito, negli occhi la disperazione di un carcerato belloccio che si appresta a entrare in una doccia comune. Scattò verso la macchina, e ci sarebbe arrivato se non avessi fatto fuoco. Il proiettile trafisse il polpaccio e Crapuloni cadde a terra, da dove dimostrò di essere a conoscenza di un’assortita gamma di bestemmie e sinonimi della parola puttana.
“Bel colpo,” constatò Liz.
“Veramente avevo mirato alla testa.”
Legammo i tre lestofanti. Io presi il cellulare di Leonardo e chiamai la polizia: “Pronto, polizia? Sono io, Dan Druff. Come ogni venerdì sera mi trovo fuori città in compagnia di tre criminali che hanno tentato di uccidermi. Potete passare ad arrestarli? Come sarebbe a dire che c’è la Nazionale che gioca?” Mi ricordai che Crapuloni era ferito. “Ah, servirebbe anche un’ambulanza. E una tonno e melanzane grigliate, se non vi spiace.”
Riattaccai. Liz mi si strinse addosso e confessò: “Ho temuto il peggio, Dan.”
“E hai fatto male. Sai perché?”
“No.”
“Perché sono il narratore di questa storia, quindi è impossibile che rimanessi ucciso.” Mi bloccai, colto da un’intuizione improvvisa. “Però la stessa cosa non vale per te. Ripensandoci, direi che hai fatto bene a temere il peggio.”
Liz scoppiò a ridere: “Certo che sei proprio un coglione!”
Restammo abbracciati così, in attesa della polizia, mentre i guardoni appostati tra i cespugli ululavano alla luna.