Spedizione dei mille

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« ...996...997...998...999...1000! Ok, ci siamo tutti, possiamo partire! »
(Giuseppe Garibaldi prima di partire per la Sicilia)
Spedizione dei mille

"Noi essere venuti in pace da Nord!
Noi porta voi civiltà e polenta!"
Luogo: Regno delle Due Sicilie, anche se la Sicilia era una sola...
Data:

1860

Esito:

Annessione dell'Italia Meridionale. Nascita della Lega Nord

Casus belli:

Il Re voleva visitare Positano

Fazioni in guerra
I mille
I borbonici
Comandanti
Giuseppe Garibaldi
?
Perdite
2.500 portafogli e l'orologio d'oro di Bixio, che ci teneva tanto...
Nessuna, casomai ritrovamenti: 2.500 portafogli e un orologio d'oro

La spedizione dei mille è un episodio del Risorgimento, del 1860, quando un corpo di volontari, pagando una quota di 20 lire a testa, partì per un viaggio organizzato dal noto tour operator Giuseppe Garibaldi (non per niente soprannominato “l'eroe dei due mondi”) alla scoperta delle “bellezze marittime del Regno delle Due Sicilie”. In seguito, vuoi perché i negozi di souvenir ti fanno dei prezzi osceni per delle cagate, vuoi perché uno cerca sempre di essere originale, i mille finirono per portare a casa, come ricordo del viaggio, direttamente il Regno delle Due Sicilie.

Un corpo di spedizione che non aveva mai sentito parlare della Lega Nord.

Camillo Benso, conte di Cavour, si apprestava in quei giorni a spedire una missiva, indirizzata a re Francesco II di Borbone. Il contenuto della lettera è riassumibile più o meno così:

Maestà, in questo periodo per me molto impegnativo - sapete, il Regno di Sardegna sta affrontando una fase di ristrutturazione interna, abbiamo deciso di allargare l'attività ed estendere il volume degli affari - trovo comunque il tempo di scrivervi un paio di righe. Perché? Vi chiederete voi, è presto detto: il mio sovrano, Vittorio Emanuele II, dato che l'Austria non si decide a mollare il Veneto, sta considerando con interesse il Vostro regno, spinto dall'ambizione di essere l'unico Re d'Italia. Ora noi sappiamo come la pensate sull'idea dell'Italia unita, ma non è che ce ne freghi un granché del vostro parere, quindi vengo subito al punto: siccome organizzare una spedizione militare costa, e a noi tra l'altro piace vincere facile, non è che potreste arrendervi, farci annettere il vostro regno e andare in esilio? Resto in attesa di una vostra sollecita risposta.

Sollecita risposta che non venne mai... Cavour, confuso, pensò dapprima ad una grande maleducazione di Francesco II, e lo tempestò di letterine più brevi:

« Xké non m risp? »

Quindi sospettò di un disservizio delle poste italiane, che già funzionavano male ancora prima che l'Italia nascesse. Dunque prese la decisione di organizzare un proprio corpo di spedizione, su base volontaria, di mille baldi giovanotti padani, capitanati da Giuseppe Garibaldi. La “spedizione con i mille” doveva disporsi in fila lungo tutta la strada che separava Torino da Napoli, e, a staffetta, passarsi la lettera di Cavour l'un l'altro fino alla città partenopea. Al fine di permettere un agevole riconoscimento tra gli “speditori”, Cavour comprò loro mille camicie rosse catarifrangenti, di modo che non venissero investiti da carrozze di passaggio nelle ore notturne.

Si parte!

Poster promozionale dell'evento.

Il corpo di volontari si ritrovò sulla spiaggia di Quarto, in Liguria, per una cena di gruppo in cui conoscersi meglio. Tuttavia Garibaldi, che era troppo figo per attenersi alle istruzioni di chicchessia, tanto meno di Cavour, decise di fare di testa sua. Diede ordine di ciulare due navi, il Piemonte ed il Lombardo, di proprietà di un armatore di nome Rubattino Borghezio, che in seguito al furto finì sul lastrico (episodio mai perdonato dal discendente di Rubattino, Mario, che definirà Garibaldi “delinquente” e “mafioso”). I mille si imbarcarono in massa con la lettera, comunque decisissimi ad effettuare la consegna, e partirono. Purtroppo, nessuno di loro era molto ferrato in geografia, e non ce n'era uno che sapesse la strada per Napoli. Incazzati neri, fecero scalo a Talamone e Porto Santo Stefano, chiedendo indicazioni ai passanti, ma non ottennero grande aiuto. Fu Nino Bixio a rompere gli indugi:

« Dai raga, Napoli sta a Sud no? Andiamo verso Sud allora, un cartello lo troveremo... »

Ma non lo trovarono, e finirono con lo sbarcare a Marsala, in Sicilia.

- I mille: “Ma dove cazzo siamo?”
- Uno del posto: “A Marsala, in Sicilia...”
- Uno dei mille: “Ah! Dove ci fanno il sapone!”
- Garibaldi: “Ma quella è Marsiglia, demente...”

A questo punto si aprì una fase di stallo, nella quale i mille vagarono oziosamente per la Sicilia, indecisi sul da farsi e senza un'idea che fosse una su come arrivare a Napoli.

- Bixio: “Dai raga... Andiamo verso Nord...”
- Gli altri 999: “Sta' zitto Bixio! Che se diamo retta a te ci ritroviamo in Groenlandia!”

Ai mille si unirono una valanga di altri abitanti del luogo, entusiasti alla prospettiva di fare l'Italia e liberarsi dei Borbone, perché se i mille non avevano mai sentito parlare della Lega, loro non avevano mai sentito parlare dei Neoborbonici.

Già che ci siamo, facciamo l'Italia...

I Borbonici, messi stranamente in agitazione dalla presenza di un corpo d'armata sabaudo nel loro territorio, tanto più considerando che la popolazione stava insorgendo contro di loro, optarono per un massacro indiscriminato. Facendo una faccia cattiva cattiva, 4.000 soldati borbonici accorsero a Calatafimi.

- Uno dei mille, che però adesso erano più di mille ma continueremo a chiamarli mille per comodità: “Arrivano 4.000 soldati borbonici!”
- Garibaldi: “Era ora! Almeno loro la sapranno la strada per Napoli!”
- Borbonici: “Vi faremo il culo, cani piemontesi!”
- Garibaldi: “Oh! Giovani! Piano con le parole, eh!”
- Bixio: “Temo che sia in corso un lieve fenomeno di misunderstanding...”
- Tutti: “Sta' zitto Bixio!”
Copertina del primo numero della serie di fumetti, targata Marvel, dedicata a Garibaldi.

Così, mentre un'orchestra sinfonica nelle vicinanze eseguiva un sontuoso accompagnamento musicale, che nelle battaglie ci sta sempre bene, i garibaldini ed i borbonici se le diedero di santa ragione. A dire la verità, entrambi gli schieramenti potevano contare su una riserva ridottissima di munizioni, e le lame, trattandosi pur sempre di due eserciti armati in Italia, erano tarocche e si spezzarono subito. A metà pomeriggio si era passati, da fucili e spade, a padelle, bastoni, sassi, mattarelli, lancio di stivali, scudisciate con le cinture e accoltellamenti per mezzo di forbici con la punta arrotondata. Garibaldi, armato di un volume dell'Enciclopedia Treccani, aveva ingaggiato un duello all'arma bianca con un borbonico che brandiva minacciosamente una filetta di pane raffermo e indurito (vecchio di due mesi). Bixio, da par suo, menava fendenti terribili a destra e a manca con un ombrello. Molti quel giorno diedero prova di grande valore. Una prode camicia rossa di Vergate sul Membro cadde ad opera di una scarpa chiodata vagante, facendo da scudo umano a Garibaldi. I borbonici, capendo che lo scontro era ormai perduto, batterono in ritirata, non prima di aver recuperato le scarpe e gli stivali lanciati contro il nemico, che battere in ritirata scalzi è piuttosto scomodo.

I mille, vedendosi sfumare sotto gli occhi anche quella occasione per farsi dire la via per Napoli, li inseguirono, risoluti ad ottenere le preziose indicazioni.

Ancora oggi, cinque garibaldini che si erano separati dal gruppo vagano per l'Italia, cercando vanamente di raggiungere Napoli.

Giunsero così a Palermo.

- Borbonici assediati: “Non ci avrete mai, bastardi sabaudi!”
- Garibaldi: “Ma guarda che cafoni questi borbonici...”
- Bixio: “Noi vorremmo solo sapere come arrivare a...”
- Tutti: “Sta' zitto Bixio!”

Garibaldini e borbonici si batterono a Palermo strada per strada, casa per casa, negozio per negozio, piazza per piazza, bordello per bordello. Insomma, non ci si poteva girare senza vedere i mille e i soldati che si scannavano. Dopo aver vinto il Guinness dei Primati 1860 per la rissa geograficamente più estesa e temporalmente più duratura di tutti i tempi, le truppe che difendevano il capoluogo siciliano lasciarono la città, in cambio dell'onore delle armi, dell'acqua ossigenata (l'alcol brucia) e dei cerotti.

- Garibaldi: “Ma qualcuno almeno gli ha chiesto la strada per Napoli?”
- I mille: “No, è vero! Ci è proprio uscito di testa!”
- Garibaldi: “Ecco...”

Nei giorni seguenti la città venne invasa dai più disparati personaggi, cronisti inglesi ed americani, messaggeri piemontesi, turisti giapponesi che non vollero andarsene senza essersi scattati una foto con i mille, uno per uno, turisti tedeschi in sandali e calzini bianchi ed infine, ultimo ma non per importanza, Alexandre Dumas padre, che scese algido dal suo panfilo personale con champagne, donne e armi per tutti. Era il re delle feste, Alexandre Dumas padre. Garibaldi, con gli occhi lucidi a causa dell'emozione, ma anche a causa della bottiglia magnum di champagne finita di scolare un attimo prima, si rivolse all'amico francese.

- Garibaldi: “Alexandre padre, da giorni cerchiamo invano di consegnare questa lettera a Francesco II, ti prego, tu che giri tutto il mondo animando la movida notturna, aiutaci ad entrare a Napoli...”
- Dumas padre: “Lo farò, mon ami... hic...”

Dumas padre, sbronzo marcio, diede loro delle indicazioni abbastanza sballate, e fu così che i mille, invece che a Napoli, si ritrovarono a Melito Porto Salvo, in Calabria.

Incontri ravvicinati del terzo tipo, a Teano

Vittorio Emanuele II, appena rientrato dalle vacanze.

Vittorio Emanuele II, di ritorno dalle ferie trascorse in un villaggio turistico alle Hawaii, fu informato da Cavour dell'esito, favorevole ai garibaldini, dei rivolgimenti al Sud.

- Vittorio Emanuele: “Aloha, Camillo Benso! Ti ho portato una collana di fiori ed un posacenere ricavato da una noce di cocco, so che non è molto, mi farò perdonare...”
- Cavour: “Non dovevate disturbarvi, maestà...”
- Vittorio Emanuele: “Novità?”
- Cavour: “Sì, è arrivata la bolletta della luce, vostra cugina Aldegarda si sposa il prossimo mese e Garibaldi sta conquistando il Regno delle Due Sicilie...”
- Vittorio Emanuele: “Che palle questi matrimoni! Spero che almeno abbiano fatto la lista nozze... GARIBALDI COSA!?”

Il re, senza nemmeno togliersi la camicia a fiori, si precipitò fuori dal palazzo e, presi con sé un paio di soldati, cavalcò alla volta di Napoli. Sfortunatamente, nemmeno il re ed i suoi andavano fortissimo in geografia, e finirono con il perdersi, appena fuori dal Piemonte. Frattanto, i mille avanzavano verso la Campania, seguendo le voci dei borbonici che li sbeffeggiavano.

Polemiche postume.
- Bixio: “Qui andiamo a sinistra o a destra?”
- Borbonici: “Un garibaldino finocchio dice cosa?”
- Bixio: “Cosa?”
- Borbonici: “(risate sguaiate)”
- Garibaldi: “Direi che il suono viene da destra...”

Facendosi strada attraverso lanci di palline di carta con le cerbottane, schiaffi del soldato, smutandate e il sempre di moda: “perché ti stai picchiando?” I mille raggiunsero Teano, in Campania, il 26 ottobre 1860. Qui sorpresero il re mentre era occupato ad insegnare ad alcuni locali le danze hawaiane apprese durante la vacanza. Il re ed i suoi, cercando di darsi un contegno, vennero solenni verso i mille indossando gonnellini verdi e portando fiori tra i capelli.

- Garibaldi: “Maestà, che abbronzatura perfetta...”
- Vittorio Emanuele: “Trovate? Siete molto gentile... Del resto, dovevate vedere Garibaldi, che spiagge bellissime... Ehm, ma non siamo qui per questo, comunque.”
- Garibaldi: “Saluto il re d'Italia!”
- Vittorio Emanuele: “Chi?! Dov'è?! Non mi sono nemmeno pettinato, accidenti...”
- Soldato del re: “Credo si riferisca a voi, maestà...”
- Vittorio Emanuele: Io? Sul serio? Forte... Vabbè... Chi vuole arraffarsi tutte le ricchezze di Francesco II?”
- Tutti: “Io! Io!”
- Vittorio Emanuele: “Ho comprato una mappa ieri, quindi, si va a Napoli!”

Cosa ne fu di loro

  • Giuseppe Garibaldi: si ritirò a Caprera, dove intraprese una fiorente carriera come cuoco, inventando l'insalata Caprerese. A causa di un errore ortografico dell'impiegato all'ufficio brevetti, il piatto prese il nome di insalata Caprese.
  • Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, nobile dei marchesi di Cavour, conte di Cellarengo e di Isolabella: partecipò alla gara annuale “Gente con il nome più lungo”, vincendo il primo premio. Dichiarò in seguito: “L'Italia è fatta. Ora dobbiamo farci le italiane.”
  • Vittorio Emanuele II: divenuto primo re d'Italia, si dedicò alla donazione di nuova linfa alla danza del paese. Sua la paternità di celebri balli come il “Tuca Tuca” e la “Macarena”. Fu anche molto attivo come compositore, suoi il testo e la musica di “Italia amore mio”, brano recentemente riportato in auge dal discendente Emanuele Filiberto.
  • Nino Bixio: abbandonò la vita militare in favore dello show business. Sfonderà poi come conduttore e comico sotto lo pseudonimo di “Claudio Bisio”.
  • Gli altri 998: ebbero un'effimera fama, fondando la boyband “The others nine hundred ninety-eight”. Vinsero un MTV Video Music Awards, per la clip della canzone: “Una spedizione d'amore”, prima di cadere nel dimenticatoio.
  • Francesco II: dopo aver finalmente letto la lettera di Cavour, si limitò a commentare: “se me lo dicevate prima...” Andò in esilio negli Stati Uniti, dove costruì la prima pizzeriaBella Napoli” su suolo americano.