Presa di Roma

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Breccia di Porta Pia

"Daje regà, pijamose Romaaaa!"
Luogo: Stato Pontificio, Roma
Data:

20 settembre 1870

Esito:

L'Italia rimedia una capitale. Il Vaticano ci rimette un paio di regioni.

Casus belli:

L'Italia era fatta, ma aveva la capitale infestata dai preti

Fazioni in guerra
Comandanti
Raffaele Cadorna
Hermann Kanzler
Perdite
32 uomini
10 uomini, 2 suore e 3 chierichetti

La breccia di Porta Pia, nota anche come presa di Roma ai Parioli e pijamose Roma alla Magliana, fu l'episodio del Risorgimento che sancì l'annessione dell'Italia al Regno Pontificio. Per sempre, non si accettano cambi.

L'anniversario dell'evento, avvenuto il 20 settembre 1870, è stato una giornata di festa nazionale fino al 1930, quando fu abolito a seguito della clamorosa bojata di Mussol... firma dei Patti Lateranensi.

Per quelli che non hanno il senso dell'umorismo, su Wikipedia è presente una voce in proposito. Presa di Roma

Le premesse

Pio IX si appresta a scatenare il suo "superpotere temporale".

La spedizione dei mille era stata un successo ma aveva di fatto consegnato un'Italia spezzata in due. L'unico modo per raggiungere la Campania, tenendo conto dell'inesistenza del Molise, era quello di attraversare il Lazio e quindi lo Stato Pontificio. Che non ne aveva molta voglia.

Secondo la credenza popolare, e forse anche secondo il comodino aristocratico, il pontefice era in grado di scatenare tuoni e fulmini come Zeus. Forte di questo controllo delle intemperie e del fatto che fosse amico di Napoleone III di Francia, Pio IX faceva le pernacchie dalla terrazza di Castel Sant'Angelo. Questo atteggiamento da gradasso finì per indispettire i mazziniani, che iniziarono a pensare a come eludere gli accordi con la Francia stipulati nel 1864; questi prevedevano infatti il ritiro delle truppe francesi dai territori italiani in cambio della promessa da parte italiana di non attaccare lo Stato Pontificio, a meno di insurrezioni popolari. Quest'ultima postilla, una paraculata inserita alla chetichella dall'avvocato Gioacchino Cavilli Insidiosi, offriva sufficienti margini di manovra. Bisognava però aspettare il momento giusto.

A conti fatti si sarebbe configurata una penisola divisa in Padania, Vaticano e Regno delle Quattro Mafie[1], con evidenti benefici per tutti.

La svolta

Gli eventi favorevoli si concretizzano invece in altro modo, nell'estate del 1870.

  • 15 luglio – Napoleone III dichiara guerra alla Prussia, che oggi sarebbe come se la Bolivia attaccasse gli Stati Uniti.
  • 2 agosto – La Francia cerca di ottenere l'alleanza dell'Italia, ma i diplomatici inviati a Torino vengono accolti da un domestico filippino che ripete: "tutti via, vacanza, mare... nessuno casa, tutti via..."
  • 16 agosto – Napoleone III invia suo figlio direttamente da Vittorio Emanuele II, che gli garantisce il suo appoggio ma purtroppo nelle settimane a cavallo di Ferragosto l'esercito mantiene solo i servizi base, ossia: il trombettiere che suona la sveglia, quello che alza la bandiera e quello che prepara la moka da 3.
  • 4 settembre – Al termine della battaglia di Sedan, ribattezzata per scherno "Cetriol" dai vittoriosi prussiani, i francesi si trovano col morale a terra, più diversi cadaveri al di sotto di essa.

A questo punto, Napoleone III viene mandato all'ospizio e si forma la Terza Repubblica, alla quale importa di Pio IX quanto dell'aumento di prezzo dei babaco al mercato di Belo Horizonte[2].

L'ultimo tentativo diplomatico

Stando all'opinione dilagante, il principio di "libera Chiesa in libero Stato" doveva essere rimodellato, così come i confini del Vaticano. Quindi si propose di cambiarlo in "libera Chiesa in Stato libero di prendersi tutto", mozione approvata con 306 voti favorevoli su 112 votanti. Tale decisione andava comunicata al pontefice, con i dovuti modi. L'approccio "Fuori dai coglioni", per quanto affascinante, fu ritenuto un tantinello aggressivo. Il delicato compito venne affidato a Vittorio Emanuele II, pratico dell'etichetta riservata ai regnanti e suo pari.

11 settembre 1870, A Sua Santità Papa Pio 9,

le scrivo con affetto di figlio, con fede di cattolico, con lealtà di Re e con animo d'italiano.
Si paventa la minaccia di una rivoluzione brutale, pregna di un intenso sentimento anticlericale.
D'altra parte, che Sua Santità abbia oltremodo abbuffato la uallera è cosa assodata.
Esplico quindi l'indeclinabile necessità, per la sicurezza dell'Italia e della Santa Sede,
che le mie truppe debbano occupare posizioni indispensabili per il mantenimento dell'ordine.
Per capirci: noi ci si piglia Roma, non vi opponete che poi si diventa cattivi.


Me medesimo Maestà (che poi sarei io)
Vittorio Emanuele II


Pio IX rispose citando un suo predecessore:

« Non debemus, non possumus, non volumus. »

Traducibile in: "Apprezzo che abbiate cercato di indorarmi la pillola, ma vaffanculo!"

I preparativi

Intanto Pio IX si preparava al peggio, armando persino i reparti ausiliari.

Il piano d'invasione dell'esercito italiano prevedeva l'utilizzo di cinque divisioni, già posizionate ai confini dello Stato Pontificio in tre punti distinti:

  1. A nord-est, nei pressi di Orvieto, il generale Nino Bixio stava ricomponendo la II Divisione, dispersasi all'interno delle numerose osterie della zona.
  2. Da est muoveva il grosso dell'esercito, al comando di Raffaele Cadorna, costituito da tre divisioni ammassate sulla Tiburtina per colpa del traffico.
  3. A sud, sulla vecchia frontiera napoletana, era stanziata la IX Divisione, incaricata di requisire gli esplosivi avanzati dal Capodanno precedente presso il mercato rionale di Secondigliano. Poi, salendo a nord, si sarebbe fermata a comperare le mozzarelle di bufala che piacevano tanto a Cadorna, in attesa di nuovi ordini.

Il 15 settembre, alle 7 di mattina, le truppe italiane erano a ridosso delle mura della città. Bixio arrivò verso le 10, la sera prima erano passati da Montefiascone e smaltire la sbornia era stata davvero dura. Per evitare il massacro Cadorna inviò una lettera al generale Kanzler, comandante delle truppe pontificie, chiedendogli di acconsentire all'occupazione pacifica della città. Il crucco rispose che avrebbe difeso Roma con tutti i suoi mezzi a disposizione, che consistevano in 13.624 uomini, suddivisi in:

  • 8.300 pontifici, comprendendo pure un centinaio di alabardieri vestiti come Arlecchino, i cardinali, le suore e i chierichetti;
  • 5.324 volontari, molto ben organizzati, tanto che avevano già scoperchiato la tomba di Papa Formoso ed erano pronti a sparire nelle catacombe al primo petardo.

Cadorna disponeva di 65.000 uomini, ossia cinque volte tanti. Gli storici hanno dibattuto a lungo sulla figura di Kanzler, indecisi se classificare il suo rifiuto come atto di eroismo, mania di protagonismo o semplice senso del dovere. Alla fine si è fatta strada l'ipotesi che fosse "cretino parecchio", accolta poi all'unanimità.

L'attacco

Il giorno prima Pio IX aveva giocato la carta della disperazione, affacciatosi sulle mura aveva urlato:

« Chiunque darà il comando di aprire il fuoco sulla città sarà scomunicato! »

Tra gli occupanti era calato il gelo. Una minaccia davvero terribile, che aveva ammutolito tutti tranne il capitano d'artiglieria Giacomo Segre, un giovane ebreo, la cui risposta giunse chiara anche nella retroguardia:

« E 'STI CAZZI?! »

Alle 5 di mattina del 20 settembre, comandato proprio dal Segre, il cannoneggiamento ebbe inizio. L'attacco alla città fu portato su diversi punti ma le mura di Roma, composte dai tipici mattoncini rossi e spesse tre metri, erano un osso troppo duro per i cannoni da 149 mm dell'epoca. Fortunatamente, il blitz a Secondigliano aveva dato i suoi frutti: due "coglioni di San Gennaro", un fuoco pirotecnico bandito dalla NATO negli anni '50 assieme alle V2, vietato ancora oggi perfino in Cina. I due ordigni, collocati nottetempo nei pressi di Porta Pia, avevano una miccia lunga un paio di km, distanza definita "minimamente prudenziale" dal venditore napoletano. O meglio, le sue parole furono più o meno: "Statte accuorte guaglio', chist' 'o siénte pure a Mergellina!" Che suggerì comunque la misura giusta.

Quando gli assediati videro allontanarsi gli italiani iniziarono a gridare: "SI RITIRANO! ABBIAMO VINTO!" Presi dai festeggiamenti non notarono il filo di fumo che avanzava verso di loro, ma udirono chiaramente il botto, una frazione di secondo prima che il timpano andasse a farsi fottere. La breccia era fatta.

Diradatosi il fumo, si scoprì che al posto del muro c'era una rampa di detriti finissimi, come cipria, e un buco largo circa trenta metri. L'assalto si concluse in un paio d'ore, tempo necessario agli Zuavi pontifici di arrendersi dopo aver fatto una considerazione pratica: la loro paga era di 6 baiocchi, moneta che sarebbe andata fuori corso nel caso (molto probabile) di sconfitta. Vennero quindi meno i presupposti fondamentali per rischiare di tirare le cuoia.

Grazie ad una scorribanda notturna negli Archivi del Ministero della Difesa, dei quali suggeriamo di sistemare l'antifurto e ripristinare la porta, siamo in grado di mostrare in esclusiva le fasi salienti dell'impresa.

Condizioni di capitolazione

Il 21 settembre il generale Cadorna prende possesso di Roma, lasciando al papa il territorio all'interno delle Mura Leonine. I volontari pontifici erano già a letto nelle loro case dalla sera prima, svizzeri e zuavi vengono invitati a lasciare la città entro mezzogiorno, quando i rintocchi delle campane di San Giovanni avrebbero segnalato l'apertura della stagione di caccia al mercenario. Considerando che il Vaticano è praticamente senza protezione armata, i romani iniziano a pensare di farci una capatina per pregare e portarsi via qualche souvenir, possibilmente un quadro di Caravaggio.

Pio IX chiede a Cadorna di entrare nelle mura vaticane e proteggerlo dai saccheggi; per "pagare il servizio" deve cedere Castel Sant'Angelo in cambio. Il pontefice si dichiara prigioniero politico e, da quel momento, i rapporti tra Stato e Chiesa non fanno che peggiorare. Soprattutto l'anno seguente.

  • 13 maggio 1871 – Il Parlamento promulga la Legge delle Guarentigie, garantendo al papa l'inviolabilità della persona, gli onori sovrani, il diritto di avere al proprio servizio guardie armate e un introito annuo pari a circa 15 milioni di euro attuali. Tutto sommato gli era andata di lusso.
  • 15 maggio – L'ingrato pontefice pubblica l'enciclica Ubi nos, rifiutando la legge "perché non garantisce il libero esercizio del potere papale, che è conferito direttamente da Dio stesso". Per farlo smettere di dire cazzate, il governo si attribuisce il diritto di approvare o meno le nomine di vescovi e parroci.
  • 17 maggio – Pio IX definisce la legge un "mostruoso prodotto della giurisprudenza rivoluzionaria", lo Stato risponde sopprimendo tutte le facoltà di teologia dalle università italiane e ponendo i seminari sotto il controllo statale.

La reazione della Curia romana non tarda ad arrivare, giungendo a vietare ai cattolici la partecipazione alla vita politica.
La situazione perdura fino al 1929, quando l'enorme serbatoio di voti "congelato" attrae l'interesse di un mascellone pelato, che decide di calare le braghe... all'Italia, firmando i Patti Lateranensi.

Reazione degli abitanti

L'evento risultò gradito ai romani (e lo è tuttora oggi) per vari motivi.

  1. In Vaticano la benzina senza accise (preferibile a quella senza piombo) gli sarebbe costata parecchio di meno.
  2. Alcuni medicinali particolari, non approvati dal Servizio sanitario nazionale perché "in attesa di perfezionamento dell'iter burocratico", sarebbero stati reperibili.
  3. Il pizzo lo avrebbero versato direttamente durante l'offertorio, piuttosto che con un'antieconomica raccolta porta a porta.
  4. Tutti gli scioperi e le manifestazioni di protesta, compresa quella contro lo schiacciamento dei bacarozzi, le avrebbero fatte altrove.
  5. Invece che "Mafia Capitale", fenomeno criminale di preoccupanti dimensioni, avrebbero assistito ad un circoscritto "mafia parrocchiale".

Note

Voci correlate