Pirro

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Pirro mentre mostra ai romani ciò di cui è capace.
« Noi romani abbiamo 3 nomi e un cognome mentre Pirro di chiama solo Pirro. Di fronte a questa schiacciante superiorità linguistica, il suo presunto genio militare è nulla. »
(Marco Caio Pubico Capezzone a proposito di superiorità romana)

Pirro fu un eccezionale condottiero e stratega che governò tra il 206 a.C. e il 306 A.c. l'Epiro (oggi Kosovo), parte della Macedonia, la Magna Magna Grecia, il Salento, la Sicilia e Potenza, ma rigorosamente una terra alla volta e mai per più di 6 mesi. Pirro fu il più sfigato dei nipoti di Alessandro Magno e celebre pigna nel culo di Roma.

Prequel

Ai tempi di Pirro l'impero macedone era stato diviso fra i molti discendenti di Alessandro Magno, e poiché i regni erano tanti, i familiari di Alessandro Magno erano delle teste di cazzo e poiché in fin dei conti i Balcani son sempre i Balcani, i vari nipoti si facevano guerra e si rubavano i troni a vicenda che sembrava il gioco della sedia. In questa situazione a Pirro, 12° figlio di suo padre, era rimasto da occupare solo il trono del Kosovo. Come se non fosse già abbastanza sfigato, a 17 anni, di ritorno da una partita di calcetto, scoprì che il cugino Neottolemo di Tracia lo aveva detronizzato. I suoi familiari, come era consuetudine all'epoca, lo presero per il culo e al giovane non rimase che mettersi al servizio del cugino Ancisone di Cappadocia, che lo istruì nell'arte della guerra. Finché un giorno Neottolemo uscì a comprare le sigarette e Pirro lo ridetronizzò. Il cugino spodestato sportivamente lasciò il posto e sparì di scena fra gli applausi del pubblico.

Pirro nella sua reggia.

Il Regno dell'Epiro

Nei mesi successivi, stretta un'alleanza con Ancisone di Cappadocia, Pirro riuscì a conquistare le terre vicine, come l'Albania e il Montenegro, e rinominò con un gesto autocelebrativo questa collezione di montagne e povertà con il nome di Epiro. Davanti agli sfottò dei parenti, secondo cui Epiro era un nome di merda, Pirro fece spallucce, cacciò a calci in culo il fratello Ematocrito che lo aveva detronizzato due minuti prima e continuò le sue campagne militari. L'occasione di provare alla famiglia il suo valore arrivò nel 232 A.c.C.: una città cazzutissima era entrata in guerra con il cugino Ancisone e a lui toccava il compito di espugnarla. Questa città era Sparta.

L'assedio di Sparta

Portato il suo esercito sotto le mura della città, Pirro magistralmente iniziò l'assedio. Fu una battaglia tremenda, e a parte alcuni giavellotti che gli avevano rigato la portiera della biga, tutto andò secondo i suoi piani, le mura cedettero e il suo esercito entrò in città con l'accompagnamento della banda dei carabinieri, mentre a nulla valsero i vari Ahua Ahua del nemico. Egli stesso combatté in un epico scontro contro il re di Sparta riuscendo in fine a ferirlo mortalmente. Le ultime parole del capo nemico furono:

« Cof! Cof! Pirro... sei su... scherzi a parte!! »

Ed ecco che tutti i soldati, fermata la lotta, si misero ad applaudire, ed Ancisone e gli altri suoi cugini usciti fuori dal finto pozzo di cartapesta cominciarono a deriderlo. Le migliori parole per descrivere questa scena sono senz'altro quelle dello storico del III Secolo Anassimazzo:

« Pirro aveva conquistato Sparta. Apparentemente. ...e invece no. La procura di Reggio Calabria, chiamata ad indagare, scopre dei fatti inquietanti: quella non è affatto Sparta ma un set di cartapesta e sughero innalzato alla periferia di Tebe. »

Pirro, incazzato più che mai, recise l'alleanza con Ancisone e se ne tornò in Epiro fra le pernacchie e le risate dei familiari solo per scoprire che era stato nuovamente detronizzato dal suocero Cagatullo di Porcia, e che costui poco sportivamente aveva cambiato la serratura del palazzo reale. Tutto ciò fu troppo anche per Pirro che, colto da depressione, decise di lasciare per sempre la Macedonia e di emigrare in Italia in cerca di nuova fortuna.

Allarme Extracomunitari
In 300 sbarcano nel golfo di Taranto!

Pirro sbarcò speranzoso al porto di Taranto, dove purtroppo le sue qualità di guerriero non erano richieste. L'ex-re si arrangiò per alcuni mesi vivendo in un monolocale con altri 3 immigrati kosovari lavorando in nero al carico e scarico del mercato di Taranto.

Il re di Taranto.

L'opportunità di menar le mani gli si presentò nel 256 A.C.. Roma era entrata in conflitto con la città magno greca e si stava preparando ad assediarla. Il re tarantoso si accordò quindi con Pirro affinché la difendesse. L'epiriota in cambio ottenne una piccola modifica alla legge sui ricongiungimenti familiari. Il giorno dopo arrivò dall'Epiro una comitiva di 3.000 cavalieri, 2.000 arcieri, 1.000 frombolieri, 20.000 fanti, i suoi più fedeli luogotenenti, il suo bardo personale, tre mignotte e un pasticciere - fatti passare tutti come suoi parenti - e 19 elefanti, gli unici veri parenti di Pirro, figli adottivi della cugina Biodacea da Monfalcone. Pirro cacciò il re Tarantolo e si dichiarò signore della città. Il bardo di corte esaltò lo stratagemma del suo signore:

« Evviva il nostro grande re Pirro! Primo in valore, primo in coraggio e secondo in astuzia dopo suo cugino Ancisone »
(Il bardo)

Lo scontro con Roma

« E c'erano gli elefanti viola »
(Racconto di un soldato un po' brillo)

I romani erano tanti, cattivi e anche molto incazzati. Per batterli Pirro ricorse agli elefanti che mai erano fin'ora stati visti in Italia. Schierò in prima linea i pachidermi e un gruppo scelto di nani mercenari della Bulgaria incaricati di sfamarli. Quando le legioni romane arrivarono, subito la loro furia combattiva svanì: i minacciosi elefanti si muovevano in spettacolari coreografie, mentre i nani con sottofondo di trombette da circo si esibivano in sessioni di giocoleria e mangiafuoco. A questa vista le legioni attonite non poterono far altro che mollare scudo e lancia ed applaudire, questo garantì un leggero vantaggio tattico ai migliaia di arcieri che Pirro aveva fatto appostare. La battaglia fu presto vinta, i macedoni esultarono per la vittoria e il bardo di corte osannò il loro grande generale:

« Evviva! Evviva! Un'altra grande vittoria di Pirro! Il nostro generale è di nuovo imbattuto! »

Solo dopo ci si accorse che fra i dispersi vi erano alcuni degli ufficiali più vicini al condottiero, fra cui Mentecatto di Solonica, che doveva a Pirro 15000 dracme, e Sfighezio da Tebe, a cui Pirro aveva prestato la macchina. Non era ancora il momento di festeggiare, ma di marciare verso Roma ora che il morale del nemico era a terra.

La battaglia di Benevento

Legionari romani si preparano alla battaglia.

Presso Beneventum Pirro si scontrò contro il resto dell'esercito romano. La battaglia fu più cruenta della precedente, ma alla fine i romani furono completamente annientati, e il bardo subito tuonò:

« Evviva! Evviva! Un'altra grande vittoria di Pirro!! Tutti i nemici sono stati sconfitti! »

In effetti il bardo aveva ragione, solo che anche i macedoni avevano avuto grosse perdite, più precisamente a parte il bardo e Pirro stesso erano rimasti vivi solo 20 falegnami di Eraclea coscritti dal condottiero durante il tragitto.
Pirro sportivamente prese atto di come stava andando la sua campagna, abbandonò il bardo legato ad un palo, si fece costruire una barca dai falegnami e si rifugiò in Sicilia dai suoi alleati. Dopo tre giorni il tribuno Marco Caio Pubico Capezzone, a comando delle riserve e dei nonni vigili di Roma, arrivò a Beneventum e trovò solo il bardo legato ad un palo. Così tornò a Roma trionfante raccontando di come avesse sbaragliato l'esercito nemico e di come addirittura avesse ucciso 30 macedoni con un solo colpo di daga; a testimonianza della sua impresa condusse in catene il capo dell'esercito nemico che non smetteva di esaltare la clemenza e la bontà del grande tribuno. Da allora la città di Beneventum venne chiamata Maleventum per ricordare come e quanto si cagò addosso il bardo legato alla vista dei romani incazzati.

Avventura in Sicilia

Pirro, dopo la vittoria di Benevento, per un certo periodo si godé le meritate ferie in un lussuosissimo hotel di Siracusa, ferie interrotte solo da un telegramma del cugino Ancisone:

« Mi congratulo per le tue imprese militari, Ah-Ah!! »

Pirro continuò le ferie finché gli arrivarono contemporaneamente due offerte di facili conquiste e gran spargimento di sangue per i villici che lo seguivano:

  • Nel regno dell'Epiro, i suoi sostenitori gli chiedevano di tornare e reclamare il trono, ora che Cagatullo da Porcia era stranamente saltato in aria con la sua carrozza mentre attraversava un viadotto.
  • I padrini re delle città magnogreche di Sicilia gli chiedevano di guidare un esercito per sbaragliare i Cartaginesi nella parte orientale dell'isola, rei di aver istituito il 41 bis, carcere duro per i reati di associazione a delinquere.

Si accorse però che nessuno era disposto a seguirlo vista la fine dei suoi precedenti eserciti. In particolare Clitoride da Tebe ci racconta di come i siciliani, a sentire il nome "Pirro", si stringessero vigorosamente i coglioni anche parecchi decenni dopo l'accaduto.
D'improvviso a Pirro venne una forte nostalgia di casa e decise di tornare a prendersi il suo vecchio regno, così dopo l'ennesimo massacro mise alla porta il cugino Ceppalide di Dacia, che lo aveva battuto sul tempo, e tornò da sovrano alle sue vecchie occupazioni: invasioni, assedi di città vicine e qualche buon libro.

Morte di Pirro

Tomba di Pirro.

Nel 204 accì, durante una battaglia molto caotica nella città di Argo, il condottiero macedone fu colto di sorpresa da 6 arcieri illirici. Pirro riuscì a scansare le frecce e a sgozzare tutti i nemici, ma non si accorse di un cavaliere numida che lo caricava con un giavellotto, venendo così trafitto. Pirro estrasse il giavellotto dal costato e con quell'arma stessa uccise il cavaliere.
E che cazzo! Era il nipote di Alessandro Magno, mica bruscolini!
Pirro continuò a combattere ma venne colpito alla testa da una tegola staccatasi dalla scuola elementare Solone II che necessitava di urgente ristrutturazione.

Il coroner decreterà:

« Morte per trauma cerebrale. »
(Il coroner)

Il regno dell'Epiro fu ereditato dal cugino Ancisone di Cappadocia che gli dedicò negli anni successivi dei cessi pubblici davanti al teatro comico di Alicarnasso.

« Mi aiuta a sentire la sua presenza, mi garantisce sempre quattro risate quando vado a teatro »

Vittoria di Pirro

Il condottiero macedone venne ricordato nei secoli a venire, ma non per le sue qualità di guerriero, visto che in fin dei conti non ha mai combinato un cazzo, bensì per i suoi tragici successi. Da qui venne coniato il termine vittoria di Pirro, ossia una vittoria che non ti serve a una ceppa.

Voci correlate