Antonio Boggia

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(Rimpallato da Mostro di Milano)
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Non ci sono più gli eroi di una volta.
« Di modi calmi ed aspetto bonario, esatto osservatore delle pratiche religiose. Estraneo, almeno apparentemente, da viziose tendenze. »
(Descrizione messa a verbale all'inizio del processo contro Antonio Boggia.)

Antonio Boggia (Carate Urio, 23 dicembre 1799Impiccagione, 8 aprile 1862), meglio conosciuto come il Mostro di Milano, è stato un criminale attivo a Campobas... Milano, non a caso. La scelta del resto era obbligata, chiamarsi il Mostro di Carate Urio sarebbe stato quasi ridicolo, o comunque meno gratificante.
Viene considerato il primo assassino seriale italiano, almeno nel senso moderno del termine, altrimenti dovremmo includere una folta schiera di fenomeni del passato, in cui troviamo campioni del calibro di Lucrezia Borgia e Giulia Tofana. Senza poi tener conto della maggior parte dei papi e degli imperatori.
Era conosciuto anche come il Mostro di Stretta Bagnera, dal nome di un malfamato vicoletto milanese già allora evitato persino dalla mafia cecena. Il luogo ha per lui un alto valore affettivo, probabilmente perché ci commise il primo omicidio. In rare occasioni fu anche apostrofato con: "Ma quello perché se ne va in giro con una mannaia?!" E certe curiosità possono essere pagate a caro prezzo.
Gli furono attribuite quattro sole vittime, ma il fatto di averne poi smembrato e decapitato i corpi lo rese comunque un bel tipetto di cui parlare, una sorta di Jack lo squartatore "de Noantri".

« ...in conclusione, siamo di fronte ad un figlio di puttana privo di scrupoli e capace di atti efferati. Un assassino dunque, ma anche un truffatore, uno spergiuro, un necrofilo e poi (segno della croce) dice pure le bestemmie! »
(Arringa finale dell'Accusa durante il processo.)

Per i suoi crimini fu impiccato, anche se il giudice aveva inizialmente parlato di strappargli gli arti con i cavalli, cospargere col sale[1] le sue ferite, bruciarlo vivo e spargere le ceneri in un letamaio.
Il suo cranio fu studiato in seguito da Cesare Lombroso, per sei anni. Il criminologo, massimo esperto di fisiognomica del suo isolato, ebbe conferma di un sospetto che aveva avuto sin dal principio, in particolare era rimasto colpito dal volto di Antonio Boggia e dalla conformazione cranica della sua testa, non c'era alcun dubbio: era una testa di cazzo. Ma grossa eh!

Cenni biografici

Secondo alcuni studiosi, i fattori ambientali risultano determinanti per alcune sociopatie.

Antonio Boggia nasce a Carate Urio, un comune sul lago di Como in cui risulta difficile comunicare con gli altri. L'incomprensibile idioma locale è infatti una variopinta mescolanza di dialetti laghée, lecchesi e ticinesi, ai quali si uniscono lievi sfumature bergamasche e termini proveniente dalla linkua teteska. Un luogo insidioso, in cui un bambino che ordina un cono gelato al bar, e sbaglia accento, rischia di dare della troia alla madre del barista. In questo mondo di incertezze e fraintendimenti il piccolo Tunin cresce spaesato, tanto che fino ai nove anni è convinto di abitare in Iraq, e che quello che vede dalla finestra della sua cameretta sia il lago di Razazza, nei pressi di Kerbala.
I genitori non gli sono di alcun aiuto. Sua madre è una donna taciturna e con un grado di istruzione carente, anche se perfettamente in linea con quello della maggior parte delle donne del suo tempo: è di fatto ignorante come una bestia (cosa che rafforza la convinzione in Antonio di essere nato in una famiglia talebana). Quando ha venticinque anni, suo padre cerca di fornirgli i rudimenti indispensabili per districarsi nel mondo del commercio, facendogli firmare una caterva di cambiali a suo nome (mai onorate) per le quali viene inseguito in tutto il Lombardo Veneto.
Fugge nel Regno di Sardegna, dove finisce incarcerato a causa di una rissa con tentato omicidio, il suo. Stare in una galera sarda, dopo aver recato danno ad un biddaio, è meno sicuro che surfare in Australia a Shark Bay durante la stagione della riproduzione degli squali.
Prima che giunga implacabile la sua punizione, approfitta di una rivolta per scappare e tornare in Lombardia. Il primo impatto con Milano è però devastante per la sua psiche, c'è la nebbia. Antonio si autoconvince di essere affetto da cataratta bilaterale, l'ansia lo assale in maniera irreversibile.

Gli omicidi

« Mai fidass d'un scalin rutt, dela cua del can e de chi va in gesa tucc i duman
(Mai fidarsi di uno scalino rotto, della coda ferma di un cane, e di quelli che vanno in chiesa ogni giorno) »
(Proverbio brianzolo che c'entra con Antonio Boggia in modo del tutto impercettibile.)

Antonio Boggia mantiene un profilo volutamente basso[2]. Grazie alla conoscenza della lingua crucca riesce a farsi assumere nella sede del comando militare austriaco, in veste di fochista. Vuoi per i problemi con i creditori, vuoi per il caldo, il cervello del soggetto finisce presto in vacca.

Era un hobby o una necessità?!
  1. Siamo ad aprile del 1849, Angelo Ribbone percorre a tarda sera il vicolo chiamato Stretta Bagnera. È vestito in modo elegante e porta nelle tasche la ragguardevole somma di 1.400 svanziche, elementi che in quella zona attirano più guai di una bestemmia in Chiesa. Improvvisamente si china per raccogliere quello che sembra un portafoglio bello pieno, qualcuno grida: "L'ascia!" Ribbone esita, interpretando come un ordine quello che era invece un disperato avvertimento. Il buon Samaritano si dilegua subito dopo, perdendo una formidabile occasione per imparare come disporre, in modo ottimale, tutti i pezzi di un cadavere dentro un piccolo sacco.
  2. Ester Maria Perrocchio, di 76 anni, era stata in vita una donna fortunata, almeno fino all'incontro col suo nuovo inquilino. Antonio Boggia si era trasferito da poco nel palazzo di proprietà della donna, ma quel breve lasso di tempo gli era bastato per fiutare l'affare. Una sera, rietrando nel portone dello stabile, la Perrocchio trova nell'atrio alcuni sacchi di cemento, sabbia, mattoni e il Boggia con una mannaia in mano. Da esperta palazzinara lo sconsiglia nel procedere in opere murarie utilizzando tale arnese, meglio adoperare piccone e badile. L'uomo le risponde: "Non si preoccupi, il badile lo userò dopo".
  3. Pietro Meazza, proprietario di un negozio di ferramenta, incarica Antonio Boggia di vendere la sua bottega ed una cantina sita in via Bagnera. Quando si dice la fortuna: il luogo è quello giusto e ci sono pure gli attrezzi per scavare. Come resistere?!
  4. Giuseppe Marchesotti, commerciante di granaglie all'ingrosso, si interessa alla cantina per usarla come deposito. Antonio Boggia è in possesso di una procura firmata dal vecchio (e defunto) proprietario. Il contratto di affitto soddisfa entrambi per un certo periodo, poi il Boggia restituisce al locale il precedente ruolo di cimitero, ampliando nel contempo il numero di occupanti. La merce in giacenza viene venduta (senza fattura) ad un fornaio.

La cattura

L'identikit non fu di grande aiuto.

È il 26 febbraio 1860, in seguito all'istituzione dei Carabinieri Reali, Giovanni Murier denuncia la scomparsa della madre: Ester Maria Perrocchio. Fin qua niente di preoccupante:

  1. le tecniche di investigazione sono ancora agli albori;
  2. le persone scomparse non sono collegabili tra loro;
  3. sono pur sempre Carabinieri, anche se Reali.

Il giudice Crivelli, incaricato delle indagini, è però un tipo ostinato. E competente.
Si scopre una procura falsa, che investe Antonio Boggia del ruolo di amministratore unico dei beni della donna. Viene anche fuori che il sospettato, nel 1851, aveva tentato di uccidere con un'ascia un suo conoscente, evento da cui era scaturito un considerevole cazziatone e una condanna a tre mesi di manicomio criminale. Era ancora poco per ottenere un mandato di perquisizione, ma la festa del serial killer finisce dopo l'imponderabile intervento del "fattore sfiga", che nel caso specifico prende il nome di: gente che non si fa mai i cazzi suoi.

8 aprile 1862: Boggia fa per l'ultima volta bungee-jumping.

I vicini di casa testimoniano di aver visto il sospettato armeggiare con sacchi da muratore e mattoni in un magazzino di stretta Bagnera, nei pressi del Duomo. La perquisizione del luogo lascia gli inquirenti senza parole. Si scopre infatti che il Boggia: è un gran disordinato, è un accumulatore di scatole di frollini svedesi al burro, possiede alcune riviste zozze e, soprattutto, non è capace a fare i muri dritti. In una nicchia, murato in malo modo, viene rinvenuto il cadavere della Perrocchio. Nella casa del sospettato vengono trovate altre due procure, una del Ribbone (che lo autorizzava a prelevare i propri averi presso un'anziana zia di Urio[3]) e una del Meazza per la vendita della cantina. Il giudice Crivelli capisce le regole del gioco: Boggia+procura=cadavere.
Per trovare i due corpi mancanti si scava proprio nella cantina, dove vengono rinvenute ossa umane. Riordinando gli scheletri arriva il colpo di scena: i teschi sono tre. Per due mesi si interrogano parenti e conoscenti delle vittime, per confermare la pista ritenuta più verosimile: uno dei due aveva un gemello siamese.
Scartata questa possibilità si fa strada l'ipotesi "quarta vittima", accolta controvoglia dagli investigatori perché avrebbe significato nuove scartoffie da riempire e altre giornate perse a far domande a destra e a manca. Dopo sei mesi non si è ancora arrivati ad un nome, ma il giudice Crivelli non è il tipo che lascia le cose a metà. Scrive i nomi di tutte le persone scomparse su foglietti di carta, chiama suo figlio e procede all'estrazione: Giuseppe Marchesotti.
Il caso è chiuso.

La condanna

Durante il processo Boggia confessa gli omicidi e cerca fino all'ultimo di fingersi pazzo. In particolare:

  • quando entra in aula bacia il pavimento e rivendica i territori per Isabella di Castiglia;
  • chiama il suo avvocato Guendalina e lo prega continuamente di tagliarsi la barba;
  • fa le boccacce ai giurati;
  • si rivolge al giudice ordinando due chili di mazzancolle.

Quest'ultimo è allergico ai crostacei, la prende malissimo e lo condanna a morte per impiccagione.

Il corpo decapitato di Antonio Boggia venne sepolto da qualche parte, la testa fu messa a disposizione del padre della criminologia, Cesare Lombroso, che ne trasse la conferma delle sue teorie circa il delinquente nato. Tali considerazioni furono esposte nel corso di una conferenza alla quale partecipò Alfredo Maria Stampati, storico redattore de Il Giornale.

Antonio Boggia in una foto del 1964.
Stampati : Quindi lei afferma che è in grado di riconoscere un criminale al primo sguardo?!
Lombroso : Se è una donna, e ha un bel culo, anche al terzo o al quarto.
Stampati : Qual'è la caratteristica somatica del Boggia che l'ha colpita in particolare?
Lombroso : La bocca storta, quasi "schifata", sembra quella di uno che ha leccato la vagina di mia moglie. E lo dico dall'alto della mia esperienza.
Stampati : Beh sì, in effetti...
Lombroso : In effetti cosa?!
Stampati : No, ehm... dicevo della bocca... è storta.
Lombroso : Ah, la bocca.
Stampati : Concludendo, secondo lei: "brutto uguale mostro"?!
Lombroso : Mi pare evidente.
Stampati : Mi pare una stronzata!
Lombroso : Anche a me, però è una teoria affascinante.

La leggenda

Una leggenda milanese narra che il fantasma dell'assassino vaghi ancora nei pressi di via Bagnera. Esso si manifesterebbe tramite una strana ventata di aria gelida che avvolgerebbe la gente. Ma potrebbe anche essere tramontana, d'altra parte "Milan l'è semper Milan".

Note

  1. ^ iodato
  2. ^ la cambiale impagata è come un diamante: è per sempre
  3. ^ no, non era una vittima casuale

Voci correlate