Giovanni Passannante

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Giovanni Passannante, foto di Olivero Toscani.

Giovanni Passannante (Salvia Savoia di Lucania, 1849-Montelupo Fiorentino, 1910) fu un delinquente mezzo pazzo sovversivo anarchico con simpatie repubblicane, autore nel 1878 di un fallito attentato alla vita dell'allora Re Umberto I, in tal modo macchiandosi dei seguenti crimini:

  • aver ferito ad un braccio la sacra persona del monarca, con fuoriuscita dal nobile braccio dello stesso di alcune gocce di sangue blu;
  • aver fatto spaventare la Regina consorte Margherita (quella famosa per l'omonima pizza che di Lei porta il nome)[senza fonte], con l'aggravante di averle rovinato il mazzo di fiori che portava in grembo;
  • aver insozzato con il proprio sangue plebeo la carrozza reale, rendendo necessaria la sostituzione dei reali tappetini, con una spesa stimata di fantaliarde lire.
Per quelli che non hanno il senso dell'umorismo, su Wikipedia è presente una voce in proposito. Giovanni Passannante

Biografia

L'attentato

Uno spensierato Passannante inganna il tempo giocando a cricket con le guardie carcerarie in attesa del processo

Barattata la modesta giacchetta con un coltello, si avvicinò al cocchio reale mentre sfilava tra le strade di Napoli, per la gioia della folla in festa. All'improvviso si gettò contro il Re brandendo il temperino e ferendolo lievemente ad un braccio. La regina consorte, con ammirevole prontezza, tirò in faccia al bieco attentatore il mazzo di fiori che portava in grembo, non si sa bene se per la gioia (Finalmente mi libero di questo impotente) o per tentare di fermarlo (con un mazzo di fiori?Buh!)[citazione necessaria]. Poi la situazione precipitò nel caos:

« Regina (urlando come una matta) - I tappetini, i tappetini! Cairoli, salvi i tappetini!
Il primo ministro Cairoli (con inconsueto coraggio) - Fossi matto, quello ha un coltello!
Corazziere veneto - Ghe pensi mi a questo terun (lo colpisce in testa con l'elsa della spada)
Re - Cazzo, i tappetini. Chi la sente adesso mia madre? »

Il bieco attentatore, svenuto e sanguinante per la botta in testa, venne quindi medicato e portato in ospedale arrestato, condotto in questura e interrogato affinché confessasse. Nessuno sapeva bene cosa dovesse confessare, poiché tutti avevano visto cosa aveva fatto: ma era comunque alquanto divertente torturarlo, così il gioco andò avanti per le lunghe. Il solo Questore tentò a modo suo di rincuorarlo:

« Non ti preoccupare, Passannante, son sicuro che il tempo da trascorrere insieme non ci mancherà! »

Conseguenze per i famigliari ed il paese natale

La madre ed i fratelli dell'attentatore furono arrestati il giorno stesso, in quanto rei confessi di essere parenti del Passannante, di cui oltretutto avevano la colpa di portare lo stesso cognome. Non la madre ovviamente, la quale in ogni caso, ben può intendersi che lavoro facesse alla luce dell'abbietto crimine perpetrato da quel figlio di troia del figlio. Poiché tuttavia con il crimine in questione non centravano nulla, non gli fu fatto alcun processo, essendovi il rischio che fossero disgraziatamente assolti[senza fonte]. Furono quindi dichiarati "insani di mente" e condotti nel manicomio criminale di Aversa e lì lasciati a marcire, sino al termine della loro peccaminosa vita.

Un amico sporco anarcoide simpatizzante repubblicano del cazzo del Passannante fu trovato in possesso di una foto in cui compariva niente di meno che il viso del vigliacco attentatore al monarca, ossia il Passannante stesso. Fu ovviamente arrestato e quindi interrogato per tre giorni: alla fine morì. La successiva inchiesta condotta da medici di provata fama, provò senza dubbio alcuno che l'interrogato era morto accidentalmente a causa di un ictus. Le solite sterili[senza fonte] polemiche popolari spinsero i luminari a puntualizzare la prognosi:

« Errata corrige 1: Morto suicida essendosi gettato dal terzo piano del commissariato di polizia ove provvisoriamente recluso. »

Ancora proteste ed emerse alfine la verità:

« Errata corrige 2: morto suicida sbattendo ripetutamente il capo contro i pugni dei carabinieri che lo interrogavano. »

Così l'incidente fu dichiarato chiuso, con gran soddisfazione di tutti.

Il sindaco di Salvia Lucania, paese che aveva avuto l'ardire di dare i natali al vile fellone, fu del pari convocato innanzi al Re, perché si giustificasse. Di cosa si dovesse far perdonare nessuno lo sapeva con esattezza, ad ogni modo il colloquio così andò:

« Sindaco - Vostra Altezza, io non trovo le parole per scusarmi, anche perché non so bene di cosa mi debba scusare.
Re - Chi sei tu, o pezzente? Ah, già: il sindaco di quel disgraziato paese che ha dato i natali a bla bla bla. La Reggina si è spaventata tanto...
Sindaco - Per pietà, non mettete a ferro e fuoco tutto il paese, ma noi che ne possiamo se quel coglione...
Re - State tranquillo, plebeo. I delinquenti non hanno patria. Nella mia infinita bontà vi perdono. Ovviamente una piccola penitenza dovrete farla, dico bene?
Sindaco - Domandate, Vostra Grazia!
Re - Cambierete il nome al vostro paesello. Invece di Salvia di Lucania, qualcosa tipo Merdaccia di Lucania o Stronzoni di Lucania, eh?
Sindaco - Ma... Vostra Altezza...
Re - Uffa, allora facciamo Savoia di Lucania: ma è l'ultima offerta!
Sindaco - Era quasi meglio Merdaccia: comunque accetto volentieri. »

Il Processo

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Non può dirsi, ad onor del vero, che il processo all'ignobile autore del vile attentato fu un copione già scritto, poiché non furono fatte mancare al Passannante tutte le guarentigie riconosciute dagli allora codici penale e di procedura penale. Pubblico Ministero era tale Francesco La Francesca, noto per essere fortemente contrario alla pena di morte, il quale, desideroso di avere dei principi onde poterli disattendere[senza fonte], chiese per il vile attentatore l'applicazione, per l'appunto, della pena di morte. Poco importava che l'attentato fosse stato eseguito con un temperino giudicato al più "buono per togliere la buccia alle mele".

« I Re non si spellano, i Re non sono mele »

sentenziò in merito la Pubblica Accusa, con raffinato sofismo giuridico.

L'avvocato difensore si rilevò immune da qualsiasi condizionamento ed attento sopra ogni altra cosa alla difesa del pur barbaro quasi reicida. Eccolo in azione:

« Avvocato - Mi appello alla Corte affinché si adoperi con il massimo rigore per punire questo mostro, reo di un crimine talmente abbietto che il solo pensarci mi fa venir voglia di vomitare.
Passannante - Ma Voi siete il mio avvocato, cosa cazzo dite?
Avvocato - Tacete, porco. Dipendesse da me non vi avrei nemmeno fatto il processo!
Passannante - Andiamo bene, andiamo... »

La giuria, composta da rappresentanti del popolo di indubbia moralità ed illibata coscienza, tra cui val la pena ricordare il Principe Orsino degli Orsinnatti, il Marchese Ubaldo degli Ubaldi, il barone Filippo Corsini, il Duca Amedeo di Aosta e Savigny ed il conte Federico dei Famiola Gulliver, non ebbe dubbi nel confermare la condanna al patibolo, anche se in effetti la pena era prevista per il solo caso di morte del Re. "Passannante è un pezzente, puzza e ha brutte idee per la testa: a morte in ogni caso, senza tante storie": questo l'equanime verdetto.

Il Re concede la grazia

Il prigioniero ritratto insieme a Letizia, sua compagna di cella

Poiché allevato in seno a nobili principi di stampo cattolico, il Re non permise al Passannante di esser passato a fil di spada. Gli concedette la grazia dell'ergastolo in carcere duro (stì cazzi!), perché Questo stronzo non deve morire soltanto una volta, deve morire dieci volte al giorno. Fu così che il bieco attentatore venne condotto in un bel posticino turistico, sull'isola d'Elba, e lì interrato vivo sotto il livello del mare in una cella umida e angusta con la sua brava palla al piede di piombo, costretto a visionare più volte al giorno i programmi di Maria de Filippi. Pena, quest'ultima, giudicata troppo atroce persino dai monarchici più fanatici. Dopo dieci anni di questa vacanza venne giudicato pazzo (Visto che avevo ragione? Soltanto un pazzo poteva attentare alla vita del Re!) e trasferito per premio in un manicomio criminale, in cui si spense nel 1910.

Vicende post mortem

Del cadavere del reo si interessò subito il Lombroso, noto criminologo in grado di stabilire dall'analisi del cranio di un malvivente che lo stesso presentava i connotati del malvivente. Il Re gli concesse di prelevare la testa del cadavere di Passannante e di esaminarla. Il Lombroso confermò, come capitava inevitabilmente tutte le volte, che il cranio presentava i canoni del delinquente. Asportato il cervello (del criminale, non del criminologo, purtroppo) e messo in un recipiente con formalina, fu quindi esposto insieme al cranio al museo criminologico di Roma con la scritta "Giovanni Passannante, DELINQUENTE ABITUALE".

Le folle, che spesso si dilettano nel veder le cose macabre, accorrevano per vedere il cervello. Corrispondendo un modesto extra oltre al pagamento del costo del biglietto, era anche possibile usare il teschio per giocare ad Amleto. Il ricavato veniva devoluto alla famiglia Reale sabauda, quale parziale risarcimento per i tappetini carrozzali sgualciti. In questo modo, sebbene da morto, Giovanni Passannante almeno un po' di bene alla causa monarchica lo fece. Purtroppo, nel 2007, cranio e cervello sono stati prelevati e seppelliti nel paese natale dell'originario proprietario, ossia il Passannante stesso.

Il che ha scatenato le proteste di casa Savoia. Non ha usato mezzi termini l'attuale pretendente al trono d'Italia Vittorio Emanuele di Savoia:

« Un atto fortemente diseducativo. In questo modo si incentivano i giovani a tentare di accoltellare i Re, forti di una impunità che non deve invece venir concessa. »

Più pacata la reazione del figlio, Emanuele Filiberto di Savoia:

« Non approvo, come è ovvio, ciò che fece il mio antenato. Bisognava mettere a ferro e fuoco tutta la Basilicata e poi magari buttarci sopra anche una bella bomba atomica, per sicurezza. »

Voci correlate