Fraschetta

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« Se dico che te porto a 'na fraschetta, la dieta te la levi de capoccia.
Lì devi magnà, magari senza fretta, e beve finché er vino nun te 'ncoccia.[1] »
(Ignazio Sifone, poeta idraulico, Nun se vive de solo amore (c'è pure 'a carbonara), Garbatella 1964, Ed. La Pajata)


Una lussuosa fraschetta.

Con il termine popolare fraschetta si è soliti indicare un particolare tipo di osteria diffusa principalmente nei Castelli romani, zona a sud di Roma famosa per i castelli che non ci sono e per le "gite fuoriporta" dei romani. Nel corso di questi simpatici eventi, usati per rinsaldare i legami familiari servendosi di ettolitri di vino e bauli di fettine impanate, gli abitanti dell'Urbe erano costretti in passato a dotarsi di capienti furgoni, gli unici in grado di consentire il trasporto del vettovagliamento necessario alla truppa.
Le fraschette offrono invece la grande opportunità di trovare le cibarie già sul posto, assicurando agli avventori il rispetto delle tre regole base:

  1. mangiare finché non si rischia l'arresto cardiaco;
  2. bere finché non si rischia l'arresto mettendosi alla guida;
  3. spendere il giusto, fanculando implicitamente tutti i MasterChef "de 'sta ceppa"[2].

Questo genere di locale è poco indicato per vegani e vegetariani, in essi le uniche cose provenienti dal regno delle piante - disponibili alla clientela - sono i tovaglioli di carta e il rosmarino usato per insaporire la porchetta. Sempre che tali strambi individui non decidano di brucare l'erba nel parcheggio.
Le fraschette sono edifici di culto per i seguaci del Porcocentrismo, movimento filosofico che venera un'icona commestibile con la coda arricciata. Nel corso del cerimoniale, che gli infedeli sminuiscono chiamandolo cena, il sommo sacerdote (l'oste) dispensa i generosi doni offerti in sacrificio dalla divinità di cui non si butta via niente, portando i fedeli verso un crescente stato di ebbrezza mistica causato dai liquori e dal picco del colesterolo.
Al termine della funzione questi ultimi verseranno un piccolo obolo (conto), che servirà a sostenere le spese pastorali[3].

Origini

Lucio Licinio Lucullo in una fraschetta.

Le fraschette hanno origini antichissime, forse addirittura risalenti all'antica Roma. Flavio Lardinio Crasso, celebre autore del trattato Ab cichorium condita, descrive l'abituale viaggio di Lucullo del venerdì, durante il quale si recava in visita a Velitrae (l'attuale Velletri) da sua zia Porcia Fiatella Vespasia. La donna, dotata di una grazia inversamente proporzionale alla sua maestosa abilità ai fornelli, ospitava il nipote nella sua villa a circa 30 km dalla capitale. Con i mezzi dell'epoca l'intera distanza poteva essere coperta in tre ore, un tempo infinitamente lungo per un individuo dotato di apparato digerente turbocompresso, in grado di consumare da 0 a 12 kg di cibo in sette minuti. Lungo l'Appia Antica erano quindi sorti degli improvvisati punti di ristoro che consentivano a Lucullo, durante il suo tragitto, di evitare l'ulteriore perdita di tempo necessaria per ammazzare e cucinare tre dei quattro cavalli del cocchio.
La denominazione "fraschetta" è successiva, probabilmente riconducibile all'antico borgo di Frascata (l'odierna Frascati), così chiamato in epoca medievale per le capanne di frasche dove vivevano gli abitanti della vecchia Tusculum, andata distrutta in seguito alla Battaglia di Prata Porci[4].
Per molti di essi l'unico mezzo di sostentamento era rappresentato dalle generose e quasi spontanee offerte dei viandanti, attività che prevedeva il passare molto tempo ai margini dei sentieri e l'uso di strumenti affilati, ai quali erano comunque avvezzi. Non di rado poteva capitare qualcuno particolarmente spilorcio, o comunque morbosamente attaccato alla sacchetta col denaro, che univa a questo una certa baldanza e un sapiente uso della spada; la situazione tendeva facilmente a degenerare. Per scongiurare questo fastidioso inconveniente, che andava esaurendo la disponibilità dei posti al cimitero, grazie alla collaborazione dei numerosi viticoltori della zona fiorirono le prime fraschette. In quei luoghi gli individui troppo coriacei, e dotati di pugnaci abilità, venivano "ammorbiditi", ovvero: intorpiditi da qualche litro di vino e appesantiti da carne di porco arrostita. Insomma, resi inoffensivi. Una volta rimessisi in viaggio, a nemmeno mezza lega dalla fraschetta, venivano accolti ed invitati a versare un obolo per gli sfrattati della zona.
Nel corso dei secoli tali usanze non sono cambiate di molto, forse l'unica differenza è che i briganti sono stati sostituiti dai vigili urbani, anch'essi però appostati a poca distanza dalle fraschette per fare la multa a chi ne esce ubriaco.

L'ambiente

Un ambiente confortevole, elegante e ben frequentato.

Per chi ha fatto del maiale il suo unico credo la fraschetta si palesa come un luogo incantato, un posto che i Fratelli Grimm avrebbero sicuramente celebrato in una fiaba se solo non fossero nati a ridosso della Foresta Nera, ossia nel buco del culo della Krukkia.
In quella ipotetica favola Hansel e Gretel si sarebbero chiamati Anselmo e Gertrude i quali, dopo aver attraversato il bosco sotto uno scroscio di olive greche e mozzarelline di bufala, sarebbero giunti in una fraschetta.
Entrando avrebbero notato subito la mortadella al posto della carta da parati, le fette di salame appese come acchiappasogni, la damigiana da 54 litri di vino rosso che spandeva riflessi rubino sulle pareti, i festoni ornamentali sostituiti da salsicce legate con lo spago, il controsoffitto di prosciutti appesi e i gomitoli di tonnarelli cacio e pepe nella cesta del filato.
Sua Maestà Carbonara li avrebbe accolti con tutti gli onori, con le sue ancelle impegnate a spargere petali di guanciale sul loro cammino. La fiaba si sarebbe conclusa con la formula "...e vissero felici e satolli".
Nella realtà la fraschetta è più o meno così, ma nel corso dei secoli si è adattata alle esigenze della clientela.

  • Dal locale sono sparite le botti di vino, che occupavano la maggior parte dello spazio. Oggi le fraschette si allacciano direttamente al vinodotto® del comune, questo gli ha permesso di aumentare i coperti ed eliminare la puzza di legno ammuffito che mortificava il profumo dell'amatriciana.
  • Dalle pareti sono sparite le attrezzature tipiche della realizzazione del vino, al loro posto sono comparsi elementi di arredo sofisticati come le tovaglie di carta, i bicchieri di plastica e gli attaccapanni a forma di minchia.
  • I canti tipici delle osterie, in passato accompagnati da artisti improvvisati, oggi vengono suonati da maestri di conservatorio appositamente scritturati. Garantite le evergreen, storiche hit di successo come Co' sta pioggia e co' sto vento e Bernardona.
  • Gli avventori, in passato ignoranti come una motozappa, si sono trasformati in una clientela raffinata ed esigente, capace perfino di tenere le posate in mano e di scolarsi il bicchiere di vino senza poi ruttare fragorosamente.

La fraschetta resta comunque un ambiente molto informale, dove ci si può recare tranquillamente in calzoncini ed infradito. Sono bene accetti anche quelli con la canottiera già insugata, tanto se ne esce comunque bisunti. La cravatta è sconsigliata, scatenerebbe uno tsunami di perculate tale da rendere chi l'indossa più ridicolo di Martina Stella mentre tenta di recitare.

Il cibo

Diversamente al passato, le fraschette sono oggi attrezzate per fornire un pasto completo. Il menù si è quindi arricchito di piatti cucinati come primi e secondi, pur confermando l'antipasto come assoluto protagonista. Quest'ultimo viene servito in quantità talmente abbondanti che raramente si riesce ad ordinare un primo piatto, è già difficile respirare, figuriamoci. Bisogna tener presente che in quei posti "se magna ignorante", questo implica lasciare a casa sia il galateo sia i propositi di dieta.

Il menù è a prezzo fisso; la rianimazione si paga a parte.
  • Antipasto - Arriva all'improvviso, occupando ogni centimetro quadrato del tavolo. A volte lo spazio non basta e i piatti vengono accatastati in ardite strutture piramidali. Se qualcuno si fosse mai chiesto come faccia a stare in piedi l'obelisco di Piazza Navona, la risposta è semplice: Gian Lorenzo Bernini aveva lavorato da ragazzo in una fraschetta. In genere comprende fagioli con le cotiche, affettati di ogni forma e provenienza animale, coratella, olive, mozzarelle, mazzi sfumati[5], coppiette piccanti (di maiale), coppiette pepate (di somaro o cavallo), frittini misti, sott'olii e sott'aceti, insaccati vari, formaggi e l'immancabile porchetta, vera regina di quella baraonda gastronomica.
  • Primi - Sono quelli tipici della tradizione romana: la pasta e fagioli, il cacio e pepe, la carbonara, l'amatriciana, la gricia, l'arrabiata, la pajata e la puttanesca. È perfettamente inutile chiedere una minestrina, o uno spaghettino pomodoro e basilico, ai Castelli romani per avere certe pietanze bisogna prima farsi male ed essere ricoverati in ospedale.
  • Secondi - A memoria d'uomo solo un paio di sprocedati li hanno chiesti in passato, quindi la disponibilità è piuttosto esigua. Si può scegliere tra i fagioli con le salsicce, la coda alla vaccinara, la trippa, le polpette e le spuntature col sugo. La bistecca si può ordinare, viene portata assieme alla diavolina, qualche legnetto e un accendino, però bisogna andare nel parcheggio a cuocerla.
  • Contorni - In genere sono tre: insalata, patate fritte e cicoria. Bisogna anche avere il verme solitario oppure uno stravagante senso dell'umorismo per ordinarli.
  • Dessert - Ma per favore!

I vini

Ancora oggi nelle fraschette si può degustare il vino "sciolto", servito in caraffe di varie dimensioni: "Boccale" o "Barzilai"[6] (2 litri); "Mezzo Boccale" o "Tubbo" (1 litro); "Fojetta" (1/2 litro); "Quartino" (1/4 litro)[7]. Di particolare tipicità è la "Romanella", una bottiglia di vino rosso leggermente frizzante realizzato con sistemi che non prevedono necessariamente l'utilizzo dell'uva. È conveniente ordinarne sempre qualcuna in più, se dovesse avanzare è utilizzabile come carburante dalla maggior parte degli scooter, oppure come valido pesticida.
Per i clienti particolarmente raffinati è disponibile anche la carta dei vini, un post-it scritto a matita che comprende un paio di voci, a volte tre.

Un sommelier qualificato consiglierà il giusto vino.
  • Rosso
    • Secco, austero, figlio di una terra senza grilli per la testa;
    • vagamente pastoso ma con garbo, a volte irriverente e sboccato;
    • sulla lingua si presenta arrendevole, al palato è invece sfuggente;
    • di un bel colore rubino vivo, anche se leggermente minato nella salute;
    • forti i sentori di sandalo, calzino, brasato di luccio, avena e Sacher torte;
    • si abbina a carni bianche di turista nordeuropea, formaggi grassi e marshmallows arrostiti.
  • Bianco
    • Dolce e amabile, ma soltanto con chi gli è simpatico;
    • ricavato da uve coltivate su lievi pendii a seimila metri;
    • cialtrone ma posato, di gusto corruttibile e ben ammanicato;
    • il colore è paglierino, con filamenti poco rassicuranti visibili in controluce;
    • decisi i profumi di sambuco, centella asiatica, ciuffo di ananas e saponetta Camay;
    • si abbina a molluschi, crostata di maiale, camembert e Kinder Merendero.
  • Rosato
    • Equilibrato, leggermente scosceso, quasi diroccato;
    • proveniente da vitigni ostinati, decisi a farsi valere anche in ambienti ostili;
    • schietto ma sincero, viscido al tatto e copiosamente sudaticcio;
    • di colore amorfo, tendente al fucsia, repellente ai raggi ultravioletti;
    • sentori di tamarindo, mentha cervina, liquido per batterie, palle di Mozart e babaco;
    • si abbina all'agnello vegetale della Tartaria, sformato di nespole, frattaglie e torte alla panna con crauti.

Pregi e difetti

La fraschetta è un locale di stampo popolare, ben lontano dal soddisfare i paladini della "froceria"[8], fermamente convinti che anche l'occhio voglia la sua parte. È necessario quindi confrontare la stessa con il locale che più di tutti basa il suo successo sull'immagine: il ristorante giapponese.

Vale la pena di sottolineare il deplorevole disordine del primo tagliere.
  • Il servizio
    • Nel ristorante giapponese i camerieri sono pacati, quasi eterei, si muovono lentamente e con frequenti inchini. Accompagnano al tavolo i clienti e gli portano subito una salvietta calda e profumata, giacché nulla deve contaminare il cibo che sarà servito. Quando arriverà il momento, le pietanze saranno illustrate con tono suadente, quasi poetico.
    • Nella fraschetta i camerieri sfrecciano a velocità Mach-2, impegnati a correre da un tavolo all'altro. Dopo una consistente attesa, che può variare dai cinque minuti alla voglia di andarsene, passa uno di loro e pronuncia tre parole: "quanti siete" e "laggiù", intervallate da un numero fornito dall'avventore. Sul tavolo le posate sono raggruppate al centro, sopra la catasta dei tovaglioli di carta. Visto che il cliente dovrà aspettare per l'ordinazione, e che quello che arriverà sarà una valanga di roba, è bene che attivi nel frattempo il metabolismo dandosi da fare. Quando porterà il cibo a tavola dirà solo "Tiè!", oppure una frase articolata tipo "Aho, me sposti l'olive che nun so dove mette 'a mortazza"[9].
  • Il locale
    • Quello giapponese è arredato con elementi di pregio, luci soffuse e comode sedute, in genere poltroncine imbottite. In sottofondo la classica musica asiatica, rilassante e tenuta a basso volume. I clienti possono parlare tra loro facilmente, il rumore di un brindisi può essere udito anche dall'altro lato della sala.
    • Nella fraschetta è tutto di legno. Questo comprende il dove sedersi, i suppellettili e a volte anche i bicchieri. Il chiasso è assordante, gli unici che riescono a comunicare facilmente tra loro sono i sordomuti (a gesti) e chi ha WhatsApp sul cellulare.
  • Il cibo
    • Difficile resistere al fascino del pesce crudo incartato con le alghe, al samurai che lo prepara e alla presentazione ordinata sul vassoio.
    • Nella fraschetta i piatti sono sempre troppo pieni, col cibo ammucchiato e disposto senza alcuna grazia. In compenso, con quello delle coppiette si può giocare a shangai senza nemmeno la fatica di doverle mischiare.
  • Il conto
    • Quello giapponese contiene numeri troppo grandi per essere identificabili senza un master in matematica finanziaria. La speranza è che la cifra sia espressa in Som uzbeki, altrimenti l'infarto è praticamente sicuro.
    • Alla fraschetta si paga una cifra variabile tra i 10 e i 20 euro. Nel 2011 un cliente ricevette un conto di 34 euro e ci rimise quasi le penne, ma era per quello che aveva ingoiato durante la cena.

Il parere della gente

La FEGATO (Federazione Europea Gozzovigliatori Antivegani Totalmente Onnivori) ha sempre criticato aspramente chi ritiene le fraschette "luoghi dove non è possibile praticare una sana alimentazione", aggiungendo quasi sempre "sticazzi". Gli altri sostengono che il solo chiamare un ristorante "da Sgozzaporco" la dica lunga sulla qualità e l'eleganza del locale. È lecito quindi avere una propria opinione in materia, esprimendola in un sondaggio:

<poll>

Cosa pensate delle fraschette? Sono luoghi di perdizione e peccato, dove circola troppo vino, troppo cibo e troppa allegria. Sono luoghi di perdizione se non si ha un TomTom aggiornato e l'unico peccato è quello di non andarci. Ci vado spesso, sto tentando di raggiungere i 350 kg per poter conoscere il Dottor Nowzaradan. Non ci andrò mai. Noi convincerete noi vegani a muuuuuuutare le nostre beeeeeelle abitudini alimentari. </poll>

Curiosità

L'abuso della sezione «Curiosità» è consigliato dalle linee guida di Nonciclopedia.

Però è meglio se certe curiosità te le tieni pe' ttìa... o forse vuoi veder crescere le margherite dalla parte delle radici?

  • L'Autore di questo articolo (prima di scriverlo) si è recato in una fraschetta al solo scopo di documentarsi sulla stessa. Rifiuta pertanto gli appellativi di beone e crapulone, in quanto poco avvezzo al gozzoviglio sfrenato. Di lunedì. Lo testimoniano le fitte al fegato e i mal di testa riscontrati al mattino.

Note

  1. ^ Incocciare: dare alla testa
  2. ^ per la natura popolare della voce forse era più indicato "de 'sto cazzo"
  3. ^ perché ci sono anche gli arrosticini
  4. ^ i porci c'entrano sempre
  5. ^ è meglio non sapere fidatevi
  6. ^ dal nome di un politico di fine '800 che offrendo vino otteneva il voto degli Alcolisti Anonimi
  7. ^ a questo ci sarebbe arrivato anche Maurizio Gasparri
  8. ^ tendenza a badare più alla forma che alla sostanza
  9. ^ nome in codice della mortadella

Voci correlate

Il mondo della cucina
L'Olient Expless

Tofu - Sushi - Soia - Gatto flitto

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