Esterofilo

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Il celebre esterofilo Nando Mericoni, in arte Santy Byron, palesemente disgustato dai cibi nostrani.
« Macaroni... m'hai provocato e io te distruggo, macaroni! Io me te magno! »
(Un esterofilo che usa la necessaria violenza sull'abominevole pasta italiana.)
« In Italia non esiste un figo come Ricky Martin. Cosa non darei per farmi sbattere da lui! »
(Esterofila a cui piace buttare i soldi.)
« Grande conclusione di Cristiano Ronaldo! Si è coordinato perfettamente ed ha scagliato un missile, peccato non abbia inquadrato la porta! »
(Descrizione di un cronista esterofilo di un tiro del portoghese finito nella mesosfera.)
« Ieri ho provato la cucina zanzibari, il sorpotel era delicatissimo! »
(Esterofila che si entusiasma per un bollito misto di interiora.)

Si definisce esterofilia l'ammirazione smodata e immotivata di tutto ciò che viene dall'estero, discorso che ovviamente non vale per la turista nordeuropea sulla quale, oltre che consentito, è obbligatorio sbavare per volere divino. Un'altra caratteristica che accomuna gli esterofili è il totale disprezzo per le cose del proprio paese, ma non stiamo parlando di Gasparri, perché anche in questo caso sarebbe normale.

Etimologia

Il termine viene da estero e -filia, cose che messe assieme fanno correre un brivido lungo la schiena, soprattutto con quello che costa di retta tenere una figlia in un collegio svizzero, o anche se si presenta con un negro che non sia miliardario. Viene tradotto in xenophilia più o meno in tutte le lingue europee, questo ci porta alla conclusione che: a parte la prima etnia che ha fatto lo sforzo di inventarlo, tutti gli altri hanno ignorato la questione. Una cosa lascia veramente da pensare: sembra incredibile ma è così anche in francese. Parliamo di gente che è stata capace di alterare perfino il nome dell'autore della Gioconda in Léonard de Vinci, come se il loro calciatore Moussa Sissoko noi lo facessimo diventare Purea Sìsonosteso.
Di sicuro non è traducibile in latino. I patrizi romani non avevano alcuna necessità di capire gli schiavi per frustarli, erano loro a dover capire i primi per non assaggiare lo scudiscio. Inoltre, se all'epoca qualcuno veniva a Roma, e voleva un panino, era meglio che imparava a pronunciare perfettamente "panem", altrimenti il negoziante lo guardava perplesso e lui moriva di fame.
Oggi, una ragazza che pensa di lavorare come commessa deve conoscere almeno sedici lingue, comprese il cinese e il cabardo. Provate invece ad ordinare dell'acqua in un bistrot di Parigi parlando italiano, molto probabilmente vi porterebbero una bottiglia già stappata[citazione necessaria] di Chateau Lafite Rothschild del '64, con annesso scontrino "infartante" da pagare subito. Nello stesso locale non trovereste mai e poi mai scritto "Happy hour", o "Aperitivo", i francesi stanno all'esterofilia quanto un mattone al nuoto.
L'esterofilia è dunque un fenomeno prettamente nostrano?

Gli italiani sono esterofili

A destra il classico monumento italiano: basso e tarchiato.
A sinistra l'elegante e slanciata opera francese.

Purtroppo il nostro è un Paese che non riesce ad avere una vera identità nazionale, anzi, da quando si parla di furto d'identità, abbiamo anche una buona scusa per non avercela. La Padania ce l'ha, però gli manca essere una nazione e quindi non vale lo stesso. La maggior parte degli italiani percepisce la propria terra in modo diverso dal resto degli europei.

« We have Big Ben, Buckingham Palace and Trafalgar Square! »
« Abbiamo la mafia, i politici corrotti e troppi immigrati![1] »

Molti italiani tendono a mettere in mostra i difetti del nostro Paese piuttosto che le virtù, gli stessi si esaltano solo davanti alle "bellezze" estere. Prendiamo un tizio, ad esempio di Centocelle, che torna da Parigi. Quasi sicuramente costringerà i parenti, fino al settimo grado, a vedere 150 foto del Louvre e altre 300 di un puntalone arrugginito, commentando amaramente che il posto dove abita è uno schifo assoluto. Se per assurdo avessimo scambiato di posto il Colosseo con la Tour Eiffel in precedenza, l'esterofilo romano sarebbe tornato con mezza quintalata di foto del gigante marmoreo e poi, animato da sete di giustizia, sarebbe andato dritto in via dei Fori Imperiali per pisciare addosso a quel traliccio dell'alta tensione spacciato per monumento.

Scampia vs Banlieue

Ovviamente, lui e la maggior parte delle persone che visitano la capitale francese non conoscono le banlieue[2] parigine, luoghi in cui anche la polizia ha paura ad entrare. Gli edifici somigliano molto a quelli della camorra a Scampia[3], gli occupanti sono leggermente meno pericolosi. Nel 2005 scoppiò una rivolta che si protrasse per 19 notti, con circa 8.000 veicoli dati alle fiamme e 2.600 persone arrestate. In un primo momento l'intervento fu affidato agli agenti della Gendarmerie nationale, quelli col cappello ridicolo, ma il giorno dopo:

  • il 47% ha finto di essere malato,
  • il 34% si è rannicchiato in posizione fetale ciucciandosi il dito,
  • il 19% si è sparato ad un piede.

Per riportare la calma il governo francese ha chiamato la Legione straniera[4], ma era all'estero. Alla fine, per risolvere la crisi, è intervenuto Jean-Claude Van Damme e li ha ricondotti alla ragione. Noi per le emergenze ci siamo affidati a Bertolaso.

Atteggiamenti contrastanti

In linea di massima siamo dunque esterofili, ma esistono anche persone consapevoli che in Italia abbiamo la Ferrari, città meravigliose e il 75% delle opere artistiche esistenti al mondo. Alcuni di essi, in particolare quelli che hanno visto i dipinti di Caravaggio, davanti ad un quadro di Marc Chagall al massimo esclameranno: "Uh, carino!"
Stando ai recenti studi antropologici e sociologici, e all'opinione di mio cuggino, possiamo classificare gli italiani in tre grandi categorie.

  • Esterofilo convinto
    • Non mangia maritozzi e non va a pranzo. Lui ha il brunch.
    • Inutile invitarlo ad una riunione, parteciperà solo ad un Brainstorming in cui il suo sarà l'unico assente.
    • Si nutre quasi esclusivamente di sushi, almeno da quando ha le branchie.
    • Ascolta esclusivamente musica straniera, quasi sempre ignorandone i testi. Per fortuna sua e dell'artista.
    • Compera solo auto d'importazione, poi va in crisi quando si accende una spia e il manuale è scritto in greco.
  • Esterofilo incerto
    • Infila continuamente parole straniere nei suoi discorsi. È il tipo che costruisce frasi come: "Eschius mi, uer is de tualet che devo cacà?"
    • Compera spesso il Pinot, convinto che i vini francesi[citazione necessaria] sono "di classe" ed è più facile portarsi a letto qualcuna.
    • È tornato da Atene entusiasta del Partenone, poi è andato a Paestum e si è sentito un coglione[5].
    • Si è iscritto ad un corso di Powerlifting, convinto di poter togliere le rughe di fianco agli occhi.
  • Esterofilo maddeché (detto anche diversamente esterofilo)
    • Quando ordina al ristorante pronuncia solo due parole: "bucatini" e "ciccia".
    • È in grado di accendere e spegnere il televisore da quando ha capito che l'apposito tasto significa: ONcominciato e OFFinito.
    • Non ha mai frequentato una SPA, è convinto che per entrarci sia necessaria una buona raccomandazione.
    • Se mai dovesse andare in un ristorante cinese sarebbe esclusivamente perché: è in vacanza in India, digiuna da tre giorni e non ci sono nei paraggi cobra da addentare.

Confronti necessari

Per fortuna c'è anche chi apprezza il nostro Paese. Forse troppo.

Gli esterofili tendono a pescare qua e là il meglio, per poi arrivare a sognare un Paese che abbia contemporaneamente:

  • il modello economico americano (uno dei più destrutturati al mondo);
  • il modello di welfare scandinavo (uno dei più socialisti al mondo);
  • una burocrazia di stampo francese (uno dei modelli più centralizzati al mondo);
  • una governance di stile anglosassone (basata su comportamenti da "civil servant" più che sulle leggi).

Poi, ancorché infatuati dall'estero, restano comunque italiani, quindi vorrebbero:

  • mantenere il nostro sistema fiscale (che ha una delle evasioni più elevate al mondo);
  • un modello economico "relazionale" anziché basato sulla meritocrazia.

Dell'arte abbiamo già parlato, ma non è l'unica eccellenza italiana di cui dovremmo invece andar fieri.
C'è anche la...
Vabbè, sicuramente il...
Certamente la...
Cazzo il cibo! Questo sì!

L'eccellenza italiana

La cucina italiana è indubbiamente un nostro punto di forza. Molti sostengono che sia meglio quella francese, per fortuna sono tutti rinchiusi in una sorta di grosso manicomio che confina a Sud con la Spagna. Eppure, nonostante questa lampante verità, i nostri esterofili si incaponiscono a mangiare roba di altri paesi, arrivando perfino a decantarne le lodi.
Per quanto ci riguarda in una ideale classifica, in cui il primo posto sia seguito dal decimo, sono tutte più in basso. Molto più in basso.
Tanto per tracciare un paragone, prenderemo una delle etniche più sofisticate (la cucina indiana) e la metteremo a confronto con la versione forse "più popolare" delle nostre: la fraschetta.

  • L'insegna
    • Gli indiani puntano a renderla esotica, deve evocare luoghi affascinanti e misteriosi. Troviamo nomi come: Taj Mahal, Rajput, Pooranam, Guru e Krishna. Oppure scelgono di essere intriganti, come il Vagina Tandoori e la catena di take away ANAL.
    • Le fraschette cercano di instaurare un rapporto personale, quasi di fiducia. Avremo quindi: "da Mario", "da zia Lella", "dar Burino", o "da Totarello". Spesso giocano la carta del menù spiritoso esposto, con scritte tipo: "Se chiedi 60 grammi de pasta, te posso solo di' se è cotta".
  • L'interno
    • Il ristorante indiano accoglie il cliente in un'atmosfera rilassante, con suadenti musiche di sottofondo suonate col sitar. Dopo venti minuti viene voglia di strappare dallo strumento tre corde, farci una robusta treccia e strangolare l'artista. Se la fonte è uno stereo non c'è problema, il sitar è su una delle pareti e si può fare lo stesso trattamento al proprietario.
    • Nella fraschetta la musica non c'è, anche avessero casse da 2000 watt sarebbe coperta dal casino della gente. In compenso ti sganasci dalle risate sentendo le battute dei camerieri che scherzano con gli avventori, o del cuoco che strilla: "Li mortacci loro! So' in dieci e pijano nove primi diversi!"
Indian cuisine vs. Fraschetta
  • Gli antipasti
    • La cucina indiana propone una discreta varietà di stuzzicherie, quasi tutte fritte nell'olio Sint-X, lo stesso usato per il motore della Ritmo del proprietario e per ingrassare le ruote del carrello dei dolci. C'è anche del riso biryani, che accompagna alcune polpette (fritte). Impastando i due materiali con acqua e curry si ottiene una valida alternativa al cartongesso.
    • Nella fraschetta il cibo compare sul tavolo come per magia. Un attimo prima c'era solo la porchetta, rispondi ad un sms e la ritrovi circondata da mozzarelle di bufala, coppiette, salumi misti, olive, coratella coi carciofi e "facioli co' le cotiche". Inutile cercare le posate, stanno sepolte da qualche parte, usate le mani prima che venga in mente a qualcun altro. Anche del tavolo vicino.
  • I primi
    • Gli indiani vantano una eccellente tradizione con le zuppe, nelle quali è evidente l'utilizzo della cipolla in quantità industriale. Il resto è materiale difficilmente classificabile, un pastone in parte vegetale e in parte animale, meglio non chiedere quale.
    • Per i pochi che non si sono sfamati con gli antipasti è d'obbligo assaggiare la pasta. I più audaci possono tentare il "Trittico di Lucullo", impresa che comporta dapprima affrontare la Carbonara, poi dare l'assalto alla Amatriciana e, per finire, sfidare il Cacio e pepe all'ultimo rutto.
  • I secondi
    • La cucina indiana propone una sapiente mescolanza di carni, verdure e spezie, quasi sempre affogate in liquami viscosi dai colori sgargianti. Potete chiedere indifferentemente l'agnello, il pollo, il coguaro o il licaone, tanto il sapore è lo stesso.
    • Presso la fraschetta il secondo si ordina esclamando: "porta la ciccia". Seguirà l'arrivo di una catasta di carne che comprende: arrosticini, salsicce, braciole, abbacchio a scottadito, costolette di agnello, spuntature di maiale e pancetta, il tutto cotto alla brace. Anche in questo caso vanno usate le mani, forchetta e coltello fanno perdere tempo e si favorisce il "nemico" che siede accanto.
  • I dolci
    • Presso gli indiani è imperdibile il Gulab jamun, un impasto di latte in polvere e farina, che viene fritto[6] in immersione a bassa temperatura, in modo che si impregni di olio al punto giusto. Viene poi immerso in uno sciroppo aromatizzato al cardamomo, acqua di rose, kewra e zafferano, talvolta anche miele. L'ostile biglia gommosa è in grado di resistere ai succhi gastrici, attraversare l'intero intestino e uscirne inalterata dopo circa dodici ore.
    • Alla fraschetta si trovano generalmente la torta della casa, quella della nonna e la crostata. Però, in presenza di particolari condizioni astrali, o di clamorose botte di culo, è possibile incontrare la crostata di ricotta e visciole. Questa leccornia, in grado di evocare visioni porno-mistiche, si presenta normalmente con l'esterno bruciacchiato. Un sottile trucco per scoraggiarne la richiesta, altrimenti non ne resta abbastanza per i proprietari.

Galleria


Note

  1. ^ Che in certi casi convergono in un solo problema.
  2. ^ estrema periferia
  3. ^ non fare quella faccia, c'è la foto che lo dimostra
  4. ^ l'unica cosa straniera che i Francesi sopportano
  5. ^ rima imprescindibile
  6. ^ inutile ribellarsi

Voci correlate

Questa è una voce di squallidità, una di quelle un po' meno pallose della media.
È stata miracolata come tale il giorno 12 giugno 2016 col 60% di voti (su 5).
Naturalmente sono ben accetti insulti e vandalismi che peggiorino ulteriormente il non-lavoro svolto.

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