Disastro di Bhopal

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I Chemical Disaster disapprovano il disastro di Bophal
Anche se il nome del nostro gruppo ci mette in cattiva luce, abbiamo facce da avanzi di galera, proveniamo anche noi da un buco di culo di paese e la nostra musica ha sull'uomo lo stesso effetto del vetriolo, teniamo a precisare che ci dissociamo completamente da questo scempio (Il disastro, non la nostra band)
Com licença
Chemical Disaster
L'immagine simbolo del disastro di Bhopal. Tale fu l'indignazione dell'opinione pubblica che la Union Carbide, battendosi il pugno al petto, espresse sincero compianto alla famiglia Cicciobello.
« In India dicembre è il mese dei matrimoni. Però prima bisogna consultare gli aruspici, l'oroscopo, individuare il giorno più fausto... Nel 1984 il giorno migliore per sposarsi in India fu la notte tra sabato 2 e domenica 3 dicembre... »
(Marco Paolini racconta il disastro di Bhopal. Su Nonciclopedia)

Il Disastro di Bhopal è il gol della salvezza in zona Cesarini del campionato di disgrazie e sciagure dell'anno 1984, altrimenti fiacco per quanto riguarda la capacità dell'uomo di procurarsi del male e, alle sogliole del 1985, il sentore di un bilancio deludente serpeggiava nell'aria.

Facente parte della categoria "pasticci industriali di quelli brutti brutti brutti, neh!", a causa del numero di morti, dello strascico di invalidi che si è trascinato dietro per decenni e del cumulo di merda che ancora appesta l'area calda e i suoi dintorni [1],il disastro di Bophal è considerato unilateralmente il più grave incidente chimico della storia, se si esclude la sintesi, nel '79, dei ravioli al cioccolato Giovanni Rana.

Storia

Un piccolo segnale che qualcosa puzzava il fato l'aveva regalato, camuffato da banale inconveniente. Ma la popolazione non colse...

Già all'inizio degli anni 50 la Union Carbide era uno dei cancri colossi della chimica mondiale e, come tale, le sue metastasi filiali erano ammassate radicate in ogni angolo del globo. Ai primordi degli anni '80, nel pieno furgore della rivoluzione verde, un distaccamento della multinazionale americana acquistò per 60 ettolitri di repellente per alligatori un pezzo di terra nella periferia della città di Bophal, città fiorente e speranzosa di raggiungere il traguardo del milione di abitanti per ottenere sgravi statali per le famiglie numerose. Dal momento che la globalizzazione non era ancora diffusa nei paesi tropicali dell'Asia, il tipico sentimento d'odio che l'essere umano, nel mondo occidentale e industrializzato, ha geneticamente evoluto nei confronti degli USA non era ancora manifesto nelle popolazioni rurali dell'Orya Basti. Perciò, inizialmente, molti degli abitanti si dimostrarono collaborativi quando i primi colonizzatori stars and stripes si insediarono sul territorio. E se ne andarono a vivere in città lontane senza sollevare polemiche né tumulti. I rimanenti vennero assunti dapprima come muratori per la costruzione della fabbrica, poi come operai e tecnici della fabbrica e infine come contadini per dare un motivo di esistenza alla fabbrica.

Nell'estate del 1979 l'ultimo lastrone di amianto fu posizionato, ma gli impianti non furono attivati se non l'anno successivo: prima non si riusciva a mettersi d'accordo sul colore del nastro inaugurale; poi non si trovava qualcosa per tagliarlo (la religione Indù non consente l'uso delle forbici, considerate impure); infine Warren Anderson, direttore della Union Carbide e inauguratore, sbagliò terminal e invece che l'aereo per l'India prese quello diretto in un avamposto scientifico in Antartide.

Preludio: sinistri e decessi sul lavoro

Mr. Anderson mentre imbonisce lo zoccolo duro diffidente del distretto di Bhopal:
« Amici miei, l'impianto sarà sicuro come una fabbrica di cioccolato! Lo stesso colore della vostra bellissima pelle! »
  • Warren Anderson. Proprio lui. Il 4 maggio 1980 si ferì goffamente con l'affettatrice mentre era intento a tagliare il nastro inaugurale della nuova fabbrica di Sevin: fu trasportato d'urgenza all'ospedale cittadino. Non tanto per la lesioncina alla mano, quanto perché imprecazioni come AHIA! PORCA DI QUELLA VACCA TROIA! non sono molto salutari, quando sei immerso in una comunità indù.
  • Khaled Gadolino: operaio alla depurazione dei reflui. Il 31 agosto 1980, durante uno spuntino, si appisolò sul tubo del freon destinato all'impianto di refrigerazione e ci rimase attaccato per il resto della pausa pranzo. Fu necessario un'ora buona di chirurgico lavoro con fiamma ossidrica e paletta del gelato, fortunosamente recuperata in una yogurteria dei dintorni, per liberare il povero manovale. Quel giorno Khaled fu mandato a casa anticipatamente, senza che nessuno riuscisse a farlo smettere di singhiozzare.
  • Mohammed Ashraf: tecnico al fosgene. Il 23 dicembre 1981, mentre sostituiva in un reattore chimico una valvola a farfalla difettosa (si ostinava a girare a crawl), si impataccò con uno schizzo del micidiale composto. Avendo la maschera antigas non si angosciò, ma quella stessa sera Mohammed collassò a terra coi polmoni squagliati e un'espressione di gioia in volto, a causa dell'effetto euforizzante del fosgene[2]. Si appurò che la maschera che indossava era difettosa.
  • Mario Rossi: sostituto del tecnico al fosgene e incaricato di terminare il suo lavoro. Prima di entrare nel comparto del reattore indossò una maschera e si spruzzò del fosgene addosso, per assicurarsi che non fosse difettosa. Era difettosa.
  • Rajin Kontrappali: sostituto del sostituto del tecnico al fosgene. Conscio del destino dei suoi colleghi, si rifiutò tassativamente di terminare il lavoro e fu perciò licenziato. Raji morì nel sonno quella stessa notte. Ma in fondo aveva 87 anni.
  • Nahasa Apupeemapetilon: giovane sguattero d'umili origini. Il 25 gennaio 1982 finì al pronto soccorso dopo aver tracannato un'intera pinta di Sevin, convinto che agisse, tra tutti gli altri parassiti, anche contro quelli intestinali. A conti fatti non gli andò troppo male: qualche sera dopo, mentre era sotto le lenzuola, disinfestò con un solo peto il talamo nuziale dalle zecche e pure le piattole di sua moglie.
  • Bitumo Culokijiji, meccanico idraulico. Il mattino del 2 maggio 1983 sdrucciolò su una piccola pozza di liquido scuro e viscoso e si sfasciò la testa contro una pompa. Dalle successive analisi venne fuori che il misterioso intruglio era cioccolato fuso...

Il pastrocchio alla fabbrica

Dopo aver nettato gli interstizi lerci della fabbrica, i garzoni della yogurteria ne approfittarono per pulire altri interstizi lerci.

Il 2 dicembre 1984, nonostante la chiusura dell'impianto si rese necessaria una periodica pulizia delle tubature per evitare l'insediamento di nutrie e gatte in calore[3], e furono mandati dei dipendenti di una vicina yogurteria, di proprietà americana. Essi trovarono inizialmente alcune difficoltà: dapprima dovettero spurgare gli idranti di cui erano forniti, ché per la fretta avevano preso quelli del negozio e a ciucciare tutto quello yogurt ebbero pure la cacarella. Poi dovettero fare i conti con delle incrostazioni particolarmente tenaci: aumentarono la pressione sempre di più finché l'operaio addetto a soffiare dall'altra parte dell'idrante non svenne, ma non ci fu niente da fare, erano peggio del grasso del prosciutto incastrato tra i denti. Nel contempo, nemmeno si spiegavano come mai l'acqua che immettevano non sbucasse da nessun'altra uscita. Ipotizzarono la presenza, tra le nidificazioni abusive, di una colonia di cammelli. Dopotutto la fiera nazionale, quell'anno tenutasi a Bhopal, aveva levato le tende da poche settimane. Rimaneva comunque il mistero del tanfo di cavolo lesso che stava intasando l’intero impianto. Forse un'incrostazione di verze? Ma no, questo era veramente assurdo! L'odore derivava dal riscaldamento delle 42 tonnellate di MIC nella cisterna E610: l'acqua pompata dagli operai, deviata dalle cattive compagnie occlusioni, s'intrufolò nel bidone d'acciaio: i vapori maleodoranti che scaturirono dalla reazione fecero saltare le saracinesche come un peto stracciamutande. La nube velenosa, generata da un amplesso chimico e ancora arrapata, si diresse immediatamente verso i quartieri poveri, pieni di prostitute.

A far piovere sull'isocianato[licenza poetica] ci si mise una pioggerellina leggera e fetente che potenziò l'avanzata della nube mortale come un blob che ingloba e assimila tutto quello che trova per la sua strada.

La strage in città

Al pronto soccorso dell'ospedale pubblico era il caos: una fiumana di gente malferma sulle gambe e braccia protese in avanti, gli occhi fuori dalle orbite, sudici e gementi convergeva contemporaneamente verso il triage. In un primo momento, il personale del nosocomio fraintese totalmente la situazione, imbracciò le carabine e mirò alle teste dei moribondi, pronti a rivolgersi l'arma a se stessi in caso di morso. Una volta chiarito l'equivoco la situazione non migliorò: la moltitudine dei sintomi non permetteva di identificare il male: c'era chi lamentava cefalea, chi aveva gli occhi corrosi, chi perdeva i capelli, chi si pettinava i capelli, chi aveva preso un brutto voto in matematica... Il solo sintomo comune erano le crisi di vomito, ma a quelle non ci badò nessuno: avevano pur sempre mangiato cibo indiano. L'unico ad avere un'idea sensata fu un infermiere della terapia intensiva, relegato in quel reparto perché almeno lì i pazienti intubati non pigliavano in giro il suo labbro leporino, che telefonò ai tecnici della Union Carbide in Virginia:

Un filmato inedito del circuito di sorveglianza della fabbrica: si vede chiaramente la torcia di sicurezza espletare correttamente la sua funzione. Le diecimila vittime in effetti non mostravano segni di asfissia, ma solo carbonizzazione...
- Tecnico UC: “... No... no no, noi non... non possiamo rilasciare informazioni, ci sgridan... n-non sono in nostro possesso!”
- Infermiere col labbro buffo: “Qua la gente sta morendo per strada, lo volete capire?! Che diavolo c'è in quella nube?!”
- Tecnico UC: “I-io non sono autorizzato a rivelarvelo, è un segreto industriale, sono mortificato!”
- Infermiere col labbro buffo: “Sai dove puoi ficcartele, le mortificazioni?! QUA LA GENTE STA MORENDO!!!”
- Tecnico UC: “Ascolta, è normale che la gente muoia, non c'è bisogno di fare queste tragedie, no? Prendetela come un... u-un'artificiale accellerazione di un evento naturale, ecco!”
- Infermiere col labbro buffo: “Ma mi prendi per il culo, deficiente mangia-hamburger?!”
- Tecnico UC: “Uè, funghetto, modera i termini! "Deficiente" lo dici a una delle tue 18 sorelle!”
- Infermiere col labbro buffo: “Dei criminali assassini, ecco cosa siete!!”
- Tecnico UC: “Vieni qui a dirlo, se hai il coraggio!! Ah, già, che sbadato, io sono in America! Col tuo stipendio di infermiere indiano non riusciresti neanche a comprare un biglietto per il Bruco Mela!”
- Infermiere col labbro buffo: “SEI UN PEZZO DI MERDA!!!”
- Tecnico UC: “E TU SEI L'ALTRO PEZZO!!!”
- Infermiere col labbro buffo: “Grande Shiva, dammi la forza... Ok, ok, ok, ascolta... non posso starmene qui a guardare questa ecatombe. Ti scongiuro: dimmi almeno cosa dobbiamo fare. Soltanto questo. Per favore.”

Ci fu un breve istante di silenzio. Poi, la voce dall'altro capo dell'apparecchio, esitante, pronunciò una frase che, a modo suo, entrò nella storia:

« Provate a respirare il meno possibile »

Si narra che l'infermiere col labbro buffo sia ancora fermo e immobile in quell'ufficio, perfettamente conservato, con la cornetta all'orecchio e un'espressione indecifrabile in faccia.

Dopo il disastro

L'odissea del risarcimento. Ironicamente, il sistema muscolare è l'unico comparto dell'organismo umano a non essere intaccato dal MIC.

Warren Anderson s’imbarcò il giorno successivo per l’India con l’intenzione di verificare di persona la situazione a Bhopal: questa volta imbroccò il terminal giusto, ma si addormentò mentre stava cagando nella ritirata e l’aereo ridecollò per New York senza che nessuno s’avvedesse di lui.

Dopo un secondo viaggio, comprensibilmente di malumore, Anderson dovette constatare come il suggerimento datogli dai suoi collaboratori di non avventurarsi per nessun motivo in mezzo a quella gente non fosse poi una cazzata: dapprima rassicurato dalle migliaia di occhi furenti che fiammeggiavano tra una marea di volti sconvolti (gli parevano degli splendenti e preziosi rubini), dovette presto constatare la non esattamente fraterna accoglienza dei suoi amici con la pelle color cioccolato dopo che il bodyguard locale, Jamal, lo aiutò a scendere le scalette del jet tenendolo sollevato per gli slip. Immediatamente arrestato, dopo 42 ore di terzo grado aveva anche lui due occhi fiammeggianti e la pelle bruna, ma se la cavò versando l'oblazione prevista per la sua cauzione: 500 dollari, più 50 centesimi che caddero in una fessura del pavimento. Prima di sparire nell’abitacolo dell’aereo che l’avrebbe riportato nella terra dei mangia-hamburger, Warren annunciò solennemente alla folla:

« Tornerò quando la legge me lo richiederà… ciupa lì e ciupa là, AHAHAHA!!! ADDIO PER SEMPRE, IDIOTI! AHAHAHAHAHAHAHA!!!……………… Fred? Fred, ora puoi partire!... CRISTO, FRED, PARTI! STANNO SALENDO LA SCALETTA! PIGIA QUEL CAZZO DI ACCELLERATORE, FRED! IL FRENO A MANO, RINCOGLIONITO!!!… Oh, ciao Jamal… »

Conseguenze

Il disastro chimico lasciò una nube[ironia involontaria] di morti e intossicati più o meno gravi. Più più che meno. Ma nemmeno meno. Le stime stilate da vari enti e agenzie governative sono talmente discostanti tra loro che ad andarci più vicino è stato un bimbo delle elementari cui fu chiesto quale fosse il numero più alto che conoscesse. Minormente complicato fu stimare le tonnellate di scarti e rifiuti tossici abbandonati, per le quali venne consultato uno studente di marketing della Bocconi: la notizia che Dow Chemical, nuova padroncina della Union Carbide, non aveva la benché minima intenzione di smaltire gli escrementi della sua bestiola fece squagliare[ironia involontaria] i coglioni a mezza popolazione indiana (l’altra metà erano donne), destinando di fatto all'abbandono una quantità enorme e imprecisata[4] di pattume velenoso in una vasta area della periferia di Bhopal. In confronto la discarica Pozzi-Ginori è un praticello da mangiare con l’aceto balsamico.

Né la stampa locale e internazionale, né le proteste di Bono a base di spogliarelli e metafore sceneggiate oltremodo spinte, né le numerose e fitte manifestazioni di protesta che intopparono le strade nel corso dell’intero dicembre del 1984 scalfirono la reputazione del colosso della chimica, alcune di esse furono persino ferocemente soffocate[ironia involontaria] coi manganelli.

Situazione attuale

Ad oggi, senza alcuna bonifica, senza alcun risarcimento e con l’unica sentenza di condanna che rimarrà sospesa in eterno come una ghigliottina arrugginita, la situazione è rimasta congelata come allora, paralizzata[va bene, la smetto] in un tiro alla fune tra una sfilza di straccioni e un pugno di strapagatissimi avvocati.

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Note

  1. ^ Se fosse davvero semplice merda sarebbe roba da ridere.
  2. ^ No, non significa che morì felice.
  3. ^ Le gatte incinta amano partorire nelle scatole, nei cassetti lasciati aperti e nelle vecchie tubazioni che odorano di pipì o ammoniaca.
  4. ^ lo studente di marketing è tuttora al lavoro