Miguel de Cervantes

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(Rimpallato da Cervantes)
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« Puppami la fava, Shakespeare! »
(Un euforico Cervantes dopo aver finito la stesura del Don Chisciotte)

Miguel de Cervantes (Pila Alcàlina, 1547 – Zinco Carbones, 1616) è stato un annoiato sessantenne che sotto lo pseudonimo dell’ingegnoso cavaliere Don Chisciotte della Mancia passava il suo tempo a rivolgere scurrilità e a importunare ragazzine per le polverose strade della Spagna.

Infanzia

Miguel de Cervantes nacque ad Alcalà de Henares. I genitori erano entrambi minatori e gestivano una piccola miniera per la verità poco fruttuosa: una famiglia di modesta estrazione insomma.
Quando Miguelito aveva appena cinque anni successe una disgrazia: la miniera crollò e seppellì sotto le macerie suo padre e un trans che inspiegabilmente si trovava lì dentro. Miguel reagì al dolore rifugiandosi nella letteratura: appartengono a questo periodo le composizioni poetiche Ode al transessuale platinato affogato nella rena e Miniera di merda.

Miguel de Cervantes.


La madre invece fece spallucce, raccattò i pochi averi e assieme al figlio si spostò da una città all'altra con la sua bancarella di sassi dipinti con le facce dei divi di Hollywood: un'attività che stenterebbe oggi, figuriamoci allora che Hollywood manco esisteva.

Dopo un disperato vagabondaggio tra Valladolid, Cordova e Salamanca, la famiglia prese alloggio in un motel. Alla vedova Cervantes non restava che una soluzione: piazzare gli organi del proprio figlio al mercato nero. Si tratta di una decisione straziante ma quasi accettabile, se solo la donna si fosse limitata a prendere organi di secondaria importanza, tipo le adenoidi o le tonsille.
Quella stessa notte Miguel, con una ferita al fianco e un rene di meno, fu visto scappare dalla stanza dell'hotel in preda al panico. La scena del bambino sanguinante e arrancante (con un rene di meno non si può fare molto moto) e della donna che lo inseguiva con un coltello da cucina in mano intimandogli di restituirle i suoi organi restò fortemente impressa nell'immaginario collettivo dei cittadini, tanto che la leggenda dell'Urlatore di Salamanca è ancor oggi fonte di discussione tra gli avvinazzati frequentatori di bar della città.

Dopo aver seminato colei che gli aveva dato la vita e aveva tutta l'intenzione di riprendersela, Miguel si mise a fare il lavoro più antico del mondo[citazione necessaria]: l'autostop.
Al suo appello di aiuto rispose solo un carrettiere diretto a Siviglia, che lo scaricò davanti al collegio dei gesuiti, che da sempre accolgono con amore i ragazzini bisognosi o avvenenti.
In collegio a Miguel venne fornita la formazione accademica che gli era sempre mancata e il giovane si rituffò nella composizione di liriche in cui tornò ad analizzare i dolori passati e mai del tutto superati: tra le più indicative citiamo Zampillando come un maiale sgozzato, I travagli di chi ha una madre stronza e la struggente Un giorno piscerò sulla tua tomba, troia!

La battaglia di Lepanto e il rapimento

Il raggiungimento della maggiore età e un calcio in testa ricevuto da un cavallo mentre si divertiva a bruciargli la coda con uno zippo spinsero Miguel ad abbandonare il collegio e a tentare la carriera di romanziere, giornalista free lance e paroliere.

Cervantes dopo un intero pomeriggio passato a pippare gatti.

L'ambiente intellettuale era però difficile e costellato di piccole invidie e rivalità. Fu così che nel 1570 Cervantes ferì a colpi di Devoto - Oli (in edizione rilegata) un letterato, tale Antonio de Segura, reo di aver affermato che la raccolta di componimenti pastorali Elogio allo scroto dei cani di Cervantes era spazzatura della peggior specie. Cervantes scappò e venne condannato in contumacia al taglio del mignolo della mano sinistra e a cinque anni di carcere.
Per cancellare la pena si arruolò come volontario nell’esercito; appena entrato in caserma un soldato gli porse un modulo in cui bisognava indicare nome, cognome, età, religione e preferenze sul legno della bara.
Dopodiché Cervantes ricevette un paio di stivali, un moschetto, un elmetto di domopak e una pacca di incoraggiamento sulla spalla da un sergente, che lo informò che l’addestramento era finito e che l'indomani sarebbe partito per Lepanto, dove cristiani e mori stavano battagliando ferocemente per il possesso di un parcheggio coperto.

In guerra Cervantes si dilettava in facezie: leggere lettere ai soldati analfabeti, contare gli scarafaggi dentro alle gamelle di zuppa e intitolare sonetti ai commilitoni caduti, tanto che nell’ambiente si attirò l’affettuoso nomignolo di Becchino di Lepanto.
Mentre stava cercando una rima baciata per “vescica”, non s’avvide della palla di cannone che puntava minacciosa verso di lui: l’impatto fu devastante, Cervantes venne proiettato in aria e atterrò un chilometro e mezzo più in là, in mare aperto. Non affondò solo perché ebbe la prontezza di attaccarsi con le gengive a un pezzo di legno fluttuante. Nell’esplosione perse la mano sinistra, le sopracciglia e l’unica copia del suo nuovo manoscritto Trattato sull’eloquenza e altre dodici novelle esemplari sullo scroto dei cani. Venne ritrovato solo tre giorni dopo: peccato che a ritrovarlo fu un vascello di corsari turchi. I pirati ridussero Cervantes in catene e lo costrinsero a lavare il ponte della nave, cosa che il letterato fece con solerzia e abbondanza di cera. Dopo che il nostromo e tre marinai scivolarono fuori bordo per colpa della cera, la ciurma lo sbatté nella stiva e ne contattò i parenti per ottenere un riscatto.

La rivalità tra Shakespeare e Cervantes era leggendaria e sfociava non di rado in sanguinosi match di wrestling.

I pirati ricevettero solo un biglietto dalla madre di Cervantes che recitava: Se lo ammazzate speditemi il rene che avanza, grazie.
Avviliti, sfiduciati, provati dalla declamazione di poesie orride che proseguiva senza tregua dalla stiva, i corsari regalarono Cervantes a un venditore di schiavi di Algeri, affondarono la propria nave e secondo i bene informati tornarono in patria dove aprirono una lavanderia a gettoni.
Visto che uno schiavo monco non era l'articolo più richiesto, Cervantes venne impiegato come contabile, un lavoro in cui diede sfoggio di tutta la sua maniacale puntigliosità, tanto da meritarsi il soprannome di Cagacazzi di Algeri. Seppure in cattività seguitò ad alimentare la sua fiamma poetica, con perle del calibro di Otto commedie senza partita IVA e In morte dell'estratto conto.
Nel 1580, dato che il figlio del suo padrone si era fatto beccare alla dogana spagnola con qualche grammo di erba in tasca, Miguel venne utilizzato in uno scambio di ostaggi e fece ritorno in patria.
Mentre baciava il suolo spagnolo e sputava subito dopo (nell’emozione non si era accorto di aver baciato una merda), Miguel de Cervantes ripensava con amarezza che le sue disavventure erano dovute alla condanna per aggressione a Antonio de Segura: aveva perso una mano intera al posto di un solo mignolo, si era fatto dieci anni di prigionia invece di cinque, era solo e senza un soldo. Se passò alla storia, non fu certo per il suo culo.

Dopo la liberazione

Alla mensa dei poveri di Siviglia Miguel conobbe un barbone che era il fratello del governatore dell’Andalusia. Grazie alla sua intercessione ottenne un posto come magazziniere al ministero. La paga faceva schifo, ma c’era la possibilità di arrotondare gli introiti con furtarelli, vendite sottobanco e piccoli prestiti a usura: in poco tempo divenne noto in tutta la città col nome di Ladro di Siviglia.

Quando si dice la dura vita degli uomini di lettere...

Da Ladro passò poi a Imbecille, quando tentò di vendere una partita di macchine da scrivere Olivetti a uno sbirro in incognito.
Finito in gattabuia con l’accusa di appropriazione indebita, ricettazione e bruttezza congenita, riuscì a scampare all’impiccagione fingendosi scemo; per convincere il giudice si mise una bacinella da barbiere in testa e recitò l’intero poema del paladino Rolando senza dire le vocali. Il giudice lo graziò ritenendolo incapace di intendere e di volere, nonché bruttissimo. Come risarcimento per i furti perpetrati lo costrinse tuttavia a prendere in moglie Catalina de Salazar y Palacios detta la Gnocca, cupa cinquantenne vergine dal labbro leporino e anatomia da cassapanca.
Il loro matrimonio si suppone infelice, dato che già nella cerimonia invece delle fedi si scambiarono sputi.
Per sopravvivere alla situazione Cervantes aveva due modi: avvelenare la consorte col Guttalax, o svagarsi con l’attività letteraria. Alla drogheria sotto casa il Guttalax non lo tenevano, per cui si mise di buzzo buono e scrisse quello che la nota rivista L’Eco del Sud Tirol e la mia prof di lettere alle superiori ritengono il suo capolavoro immortale: El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha (vedi sotto).
Il successo e la fama arrivarono rapide e inattese come un tackle da dietro di Materazzi: Miguel con la scusa di andare a comprare una risma di fogli A4 uscì di casa e prese il primo taxi per Toledo, dove comprò un loft, un armadio di maglioni girocollo da intellettuale ed entrò nella cerchia culturale del cavalier Gaspar de Espeleta, che si vantava di essere il suo più grande (nonché unico) fan.
Gli ultimi anni di Cervantes furono relativamente agiati: li passò ingozzandosi di tartine al caviale e scrivendo quattro cazzate in croce, tanto ormai i critici lo idolatravano a prescindere; neppure i puntuali scandali (l’episodio della seduzione della figlia sedicenne del cavalier de Espeleta e il successivo ritrovamento del cadavere di Espeleta con la gola squarciata da un pennino a china) infangarono il nome di quello che ormai era conosciuto come il Monco di Toledo. Cervantes morì tra i suoi amati libri, ironicamente dopo aver ultimato il suo epitaffio funebre che recita così:

« Cazzo hai da guardare? »

Don Chisciotte

   La stessa cosa ma di più: Don Chisciotte della Mancia.
Don Chisciotte stermina l'orda di basilischi (Capitolo XXIX, prima parte).

Fu durante il nefasto matrimonio con Catalina de Salazar che Cervantes scrisse il suo capolavoro: disprezzato dal consorzio umano, irriso da una moglie che avrebbe preso volentieri a badilate, frustrato dall’insuccesso delle sue liriche, Cervantes capì che l’unica cosa che aveva fatto di buono nella vita era fingersi pazzo e stupido per sfuggire alla forca. E non aveva neanche dovuto sforzarsi.
È a Cervantes che dobbiamo l'intuizione che rivoluziona la storia del romanzo: fu il primo a capire che alla gente piace leggere di sfighe capitate ad altri, per cui concentrò in un unico libro tutte le cazzate subite in cinquant'anni di vita e le attribuì all'autobiografica figura del cavaliere errante Don Chisciotte.
Per la figura dell'irsuto scudiero Sancho Panza si ispirò probabilmente a qualche immigrato messicano conosciuto nei suoi viaggi, oppure a sua moglie.

Miguel de Cervantes capì anche che la maggior parte della gente compra un libro non perché voglia leggerlo ma perché ha degli antiestetici spazi da riempire nella libreria. Sfruttò la cosa a suo vantaggio, inframmezzando le mille e passa pagine del romanzo con definizioni prese dal vocabolario e ripetizioni, tanto chi se ne accorge? Leggiamo quanto succede a pagina 60:

(...) Proprio allora, videro in lontananza trenta o quaranta mulini a vento, e subito Don Chisciotte disse al suo scudiero:
<<La fortuna guida le nostre cose meglio di quanto potessimo desiderare, amico Sancio. Ingaggerò battaglia con quei giganti>>.
<<Nella mitologia e nel folklore, il gigante è una creatura simile a un uomo, ma di enormi dimensioni.>> disse Sancio guardando all'orizzonte, <<Da questo significato principale derivano numerosi altri usi del termine:
La Tomba dei giganti, un monumento nuragico.
I Giganti di Monti Prama, antiche sculture sarde.
La Sala dei giganti, stanza affrescata di Palazzo Te a Mantova, opera di Giulio Romano>>.
<<Proprio così, mio fedele amico! La fortuna guida le nostre cose meglio di quanto potessimo desiderare, amico Sancio. Ingaggerò battaglia con quei giganti>> rispose Don Chisciotte, e detto questo spronò Ronzinante Ronzinante Ronzinante Ronzinante Ronzinante.
<<Guardi, vostra signoria>> cercò di avvisarlo Sancio, <<che quelli non sono giganti, ma mulini a vento. Un mulino (o molino, dal latino molinum derivante da mola), è uno strumento che produce un lavoro meccanico derivato dallo sfruttamento di una forza (prodotta dall'energia elettrica, dal vento, dall'acqua o dalla spinta animale/umana). Il termine "mulino" trova una sua etimologia nel fatto che esso (...)>>

Nel 1615, per sfruttare il momento d'oro e comperarsi uno yacht, Cervantes scrisse in fretta e furia la seconda parte delle avventure di Don Chisciotte: era stato però anticipato da un vile impostore che, celato dietro allo pseudonimo di Antonio de Aruges, gli aveva soffiato personaggi e idee (piccoli svantaggi di chi viveva in un'era pre-copyright).
Lo stravagante sequel dell'Aruges, collocato in una Mancia devastata dalle guerre nucleari, con un Don Chisciotte esperto di kung fu e con Sancho che cambia sesso e si fa chiamare Carmela, non piacque ai lettori e la versione di Cervantes ne uscì nettamente vincitrice.

Altre opere

  • San Culotto della Francia, scritto durante una festa tra amici per perculare gli odiati francesi.
  • Don Chisciotte senza mancia, in cui gli studiosi leggono un duro atto d’accusa verso i nobili taccagni.
  • Don Chisciotte della Lancia, scritto dopo esser stato pagato fior di quattrini dall’omonima casa automobilistica.
  • Galateo andaluso Vol. I: sputare il cibo a terra è simbolo di apprezzamento
  • L’hijo de puta
  • Appunti di viaggio: Todos les sñacchere d’España
  • Il romanzo prosaicomico e altri vivaci aneddoti sullo scroto dei cani


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