Battaglia di Prata Porci

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Battaglia di Prata Porci

Luogo: Monte Porzio Catone
Inizio:

29 maggio 1167

Fine:

primo pomeriggio

Esito:

Mazzata tremenda per il Papa

Casus belli:

Conquista di un luogo per le scampagnate

Fazioni in guerra

Truppe tedesche

Truppe pontificie

Comandanti

Rainaldo di Dassel arcivescovo di Colonia

Oddo Frangipane pescivendolo di Ostia

Forze in campo

800 cavalieri e 700 mercenari incazzosi

30.000 fanti senza palle

La battaglia di Prata Porci, o di Monte Porzio Catone, fu combattuta il 29 maggio 1167, presso una piccola collina fuori le mura della città di Tuscolo, tra le truppe tedesche di Federico Barbarossa e le truppe pontificie e romane di Papa Alessandro III.
Raino da Rocca Priora, conte di Tuscolo, voleva mantenere quella piccola zona pianeggiante in suo possesso: era l'ideale per le gite "fori porta" e l'invasione domenicale dei romani cominciava a stargli sulle palle. La contessa Mafalda Pottafresca da Norcia, moglie di Raino, non poteva più stendere i panni senza che prendessero uno sgradevole odore di braciola di maiale. Il conte recintò tutta la zona, impedendo quindi ai romani di farci i picnic.
La rivolta della popolazione romana fu immediata, le proteste arrivarono al Pontefice, che non poté esimersi dall'intervenire.

« Possumus non coques tomacula porci!! »
(La dura condanna di Papa Alessandro III al folle gesto di Raino.)
« Che ha detto? »
(Ignorante a suo cugino prete.)
« Che non possiamo non cuocere la salciccia. »
(Prete a suo cugino ignorante.)
« A morte er tuscolano!!! »
(La folla inferocita.)
« Sfonnamo Mafarda!!! »
(La folla inferocita e pure ingrifata.)

Il contesto storico

L'anfiteatro dello scontro.

Nel 1166 Federico I, mentre assediava Ancona perché non trovava posto sui traghetti per la Croazia, aveva inviato Rainaldo di Dassel a conquistare Civitavecchia per pararsi il culo: al limite sarebbe andato in vacanza in Sardegna. Già che c'era, voleva spodestare Papa Alessandro III da Roma e mettere al suo posto l'antipapa Pasquale III, eletto da lui stesso per far incoronare imperatrice sua moglie e perché (dettaglio irrilevante) era un pupazzetto sempre obbediente nelle sue mani. Su richiesta di Raino conte di Tuscolo (città filo-imperiale), la cui fortezza era assediata da circa 30.000 romani, Rainaldo si precipitò a Tuscolo per aiutare il conte, percorrendo la Via Aurelia e beccando svariate multe dai puledrovelox. Federico inviò circa 700 mercenari di cui poteva fare a meno ad Ancona.

« Ce famo cazzi!! »
(Raino conte di Tuscolo ringrazia Federico Barbarossa per gli aiuti ricevuti.)
« Più di così 'nzi po!! Probabilmente ce l'hai nel culo!! »
(Federico Barbarossa incita alla battaglia Raino da Rocca Priora.)

Le forze in campo

A sinistra la macchina bellica tedesca, a destra quegli altri!

A guardare i numeri sembrava che lo schieramento tedesco dovesse soccombere in malo modo, i nemici li sovrastavano in rapporto di 20 a 1. Tuttavia, stiamo parlando di un discreto numero di soldati addestratissimi e ben armati, contro una masnada di contadini armati per lo più di cattive intenzioni.

  • I tedeschi:
    • Al comando c'era Rainaldo di Dassel arcivescovo di Colonia, detto "Disgrazia", un cavaliere senza macchia, senza paura e senza la benché minima remora a spaccare in due un cranio col suo spadone e poi pisciarci dentro a spregio.
    • Sotto di lui i suoi tre attendenti:
      • Notker I di Straßburg, detto "Furia", al comando degli 800 uomini della cavalleria,
      • Siegmund III di Gandersheim, chiamato "Keyser Söze", comandante della guarnigione Tuscolana,
      • Gottfried von Abschatz con i suoi 700 mercenari brabantini (celebri per giocare a golf con i femori degli sconfitti).
  • I "papalini":
    • Al comando c'era Oddo Frangipane, un pescivendolo di Ostia che vantava (da ubriaco) antiche discendenze pretoriane. Per dar corpo a queste farneticanti affermazioni indossava una corazza in cuoio, a suo dire appartenuta a Tigellino. Per i suoi ben 153 cm di altezza era chiamato "Pino".
    • Sotto di lui i suoi tre fidi:
      • Romualdo di Salerno, chiamato "Limoncello" per il vessillo con i colori della Santa Sede, al comando del battaglione "Bestemmia".
      • Gennaro da Roccamonfina, detto "Vesuvio" per la sua capacità di emettere esalazioni sulfuree, che guidava la brigata "Pompei",
      • Pancotto da Velletri, di professione notaio, comandante degli arcieri dei Monti Lepini.

Il tentativo di mediazione

Fu tentata una mediazione per scongiurare il massacro.

Non fu certo per codardia che Cristiano di Buch, arciduca di Magonza, si recò presso lo schieramento papalino per negoziare. Lo scopo era quello di scongiurare un probabile dispendio esagerato di energie e vite umane. Il vescovo Gandolfo di Loritello era stato incaricato, dal Papa in persona, di valutare le richieste del nemico. Per un beffardo scherzo del destino, la contessina Gertrud di Buch (figlia di Cristiano) era stata affidata anni prima alle cure pastorali proprio dell'anziano vescovo Gandolfo. Fu durante una di queste "pastorate" che l'allora sedicenne ragazza era rimasta pregna. Il rancore non s'era sopito affatto.
Alla vista del prelato, il colto arciduca iniziò a "smoccolare i santi" in sette lingue, riuscì a divincolarsi e colpire, con un lancio ben calibrato del guanto dell'armatura, la faccia dell'infame spulzellatore di vergini. La trattativa si arenò sul nascere.
Tornato alla fortezza del Tuscolo, ci fu un breve dialogo con Rainaldo:

« Allora? Che ha detto? »
(Rainaldo di Dassel si informa sull'esito della mediazione.)
« Che i tedeschi a combattere fanno cagare, perché sono tutti froci!! »
(Cristiano di Buch che fomenta gli animi.)

C'era da aspettarselo, i "crucchi" non la presero affatto bene.

La battaglia

Gli opposti stati d'animo alla vigilia dello scontro.

Era il giorno di Pentecoste. L'esercito imperiale era molto inferiore come forze, ma gli rodeva il "chiccherone" in modo inverecondo per la presa in giro. È risaputo, il tedesco è "bono e caro" ma se lo perculi si "imbervisce"[1]. I mercenari brabantini furono all'inizio sbaragliati, ma la cavalleria di Colonia (schierata in difesa) resistette all'assalto della fanteria romana. Nel frattempo da Tuscolo uscivano circa 300 cavalieri che, sul filo del fuorigioco, attaccarono alle spalle e divisero in due tronconi l'esercito romano, che si allungò e perse coesione tra i reparti. A questo punto intervenne un gruppo di riserve lasciate in panchina, che colpirono pesantemente il fianco dei romani provocandone il tracollo. Finì 3-0. Il pronostico era nettamente a favore dei romani e invece vinsero i tedeschi, la cosa generò il sospetto che gli allibratori avessero truccato la battaglia.

La difesa a due dei romani non poté nulla contro il modulo tedesco ad albero di Natale.

Quelli rimasti intrappolati sul campo furono uccisi, quelli in fuga rincorsi dalla cavalleria e massacrati, i pochi fortunati che riuscirono a rifugiarsi a Roma furono poi raggiunti da una cartella esattoriale di Equitalia. Il bilancio fu pesante, 10.000 tra morti e prigionieri. Tuttavia, come soleva dire lo storico esperto di eserciti tedeschi Giovanni Trapattoni: "No say the cat is in the sac", le truppe teutoniche furono colpite da un'epidemia di malaria o peste, che li decimò e li costrinse a tornare in Germania.
Il rancore dei romani verso la città di Tuscolo trovò possibilità di sfogo:

I momenti decisivi del conflitto

Note

  1. ^ Imbervimento: alterazione dell'equilibrio psichico con totale perdita della capacità di essere accondiscendenti.

Voci correlate