Leo Longanesi

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Longanesi: un uomo, una frase, una bandiera, uno Stato.
« Sono un conservatore in un Paese in cui non c'è niente da conservare! »
(Leo Longanesi sulle conserve.)
« Sono un carciofino sott'odio! »
(Leo Longanesi fissato con le conserve (e verosimilmente sotto LSD).)
Per quelli che non hanno il senso dell'umorismo, su Wikipedia è presente una voce in proposito. Leo Longanesi

Leopoldo Gianrambaldo Longanesi, detto Leo ma anche Poldobaldo (Bagnacavallo Ma Poi Asciugalo, 30 agosto 1905Milano, 27 settembre 1957), è stato un giornalista, pittore, disegnatore, editore, aforista e callista fascianarcocomunista conservaprogressista italiano. Non c'è nulla di sbagliato nell'indossare vesti ideologiche antitetanitiche in sì grande copia, basta disporre di un guardaroba sufficientemente ampio. E Longanesi ne disponeva.
Perché tanta gente si ricorda di lui? Evidentemente, la gente ha una memoria migliore di quanto si voglia far credere. Se questa tesi non fosse vera, oggettivamente non possono sussistere ulteriori ipotesi perché, oltre ad avere una buona memoria, non esistono motivazioni realmente valide per ricordarsi di Longanesi.

L'infanzia e l'adolescenza

Longanesi era affetto da onicofagia.

Nasce da Paolo Longanesi, chiamato dai coetanei Lungoarnese a causa di una diceria risalente ai tempi della visita di leva, e da Angela Marangoni, rampolla di una dinastia di ricchi proprietari terrieri, quindi abituata a non fare un cazzo tutto il santo giorno. Il padre dirigeva una fabbrica di polveri da sparo il cui prodotto finale, oltre ad essere venduto per l'uso convenzionale, finiva spesso sulla mensa della famiglia Longanesi, in luogo del parmigiano reggiano, ritenuto poco saporito. «Sono uscito da una famiglia per metà rossa e per metà nera, senza tutta quella polvere da sparo probabilmente sarebbe stata solo rossa, ma chi può dirlo con certezza?» Tale abbinamento cromatico, tuttavia, non farà di Longanesi un tifoso del Milan.

« Tutto ciò che non so l'ho imparato a scuola! »
(Leo Longanesi ammette di essere un secchione.)

Nel 1911 la famiglia si trasferisce a Bologna. I genitori preparano un radioso avvenire per il loro unico figlio Leo: in barba alla sua vocazione di disegnatore, che esprimeva con una serie di creazioni oggi considerate fumetto erotico ante litteram, gli impongono gli studi liceali forzati e l'apprendimento coatto del francese. Volevano che gli venisse la erre moscia, che sarebbe stata un segno d'alto lignaggio, un lasciapassare imbattibile per l'ingresso nell'élite dei maggiorenti bolognesi, nella massoneria e nella loggia del leopardo. All'età di quindici anni inizia il periodo delle autoproduzioni alternative antagoniste creando il suo primo foglio stampato, Il Marchese, un panegirico sul ciclo mestruale, la cui comparsa in una coetanea con cui era andato in camporella l'aveva salvato dal diventare padre anzitempo. Ad esso seguono altre fanzines che riscuotono un certo successo presso i vicini di casa di via Irnerio. Dopo il liceo, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, con l'intenzione, una volta avvocato, di farla pagare cara ai genitori, rei di avergli rovinato la pronuncia con lo studio coercitivo di una lingua che lo faceva passare per frocio e non per macho.

Gli anni del fascismo

Longanesi era autodidatta.
« Non è la libertà che manca in Italia. Mancano gli uomini liberi! »
(Longanesi non visse abbastanza per smentirsi.)
« Soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia! »
(Beh, in qualche modo il ragionamento fila.)

Al termine della prima guerra mondiale, Longanesi comprende di essere uomo di destra con ideali di sinistra, con una fede agnosticamente cristiana. Essendo di famiglia ricca sfondata, si abbiglia con costosissimi abiti da truzzo e adotta l'estetica nazionalista come sistema di pensiero. Cucca parecchio. Frequenta da minorenne i caffè letterari bolognesi, stracolmi di sfaccendati e fascisti della prima ora come Giorgio Morandi. Stringe amicizia con alcuni gerarchi, come Leandro Arpinati, Dino Grandi e Italo Balbo. Il ventennio sembra costruito su misura per lui. Nel 1924 collabora con L'Assalto, organo del fascio di Bologna.

Nel 1926 fonda L'Italiano, settimanale di cultura artistica e letteraria pieno in realtà di racconti sconci, scritti nel periodo adolescenziale, quando con una mano scriveva e con l'altra frustava il cobra. Contemporaneamente fonda la casa editrice L'Italiano Editore, che pubblica opere di Riccardo Bacchelli, Curzio Malaparte, Vincenzo Cardarelli ed altra gente caduta nell'oblio più profondo. È di questo periodo l'infatuazione per il font tipografico Bodoni, un legame che non si spezzerà mai. L'amore è amore, eccheccazzo.
L'Italiano nasce in un momento di intenso dibattito circa il rapporto tra arte e fascismo, caratterizzandosi per un'idea a suo modo rivoluzionaria: l'arte fascista non esiste. E se lo dice un fascista... «Questa rivista non ha mai stampato le parole stirpe, era, cesarea, augustea... Dio ci scampi e liberi dagli archi di trionfo e dai fasci coi festoni... Uno stile non s’inventa dalla sera alla mattina. Lo stile fascista non deve esistere. Il nostro stile è quello italiano che è sempre esistito. Oggi occorre metterlo in luce». Ok, allora siamo tutti d'accordo: l'arte fascista non esiste.

Un'ossessione di Longanesi era per l'italiano piccolo-borghese, in tutte le salse.

Un Eugenio Montale meno ermetico del solito ha dichiarato che «L'Italiano riporta quanto di meglio e di più audace la fronda fascista potesse esprimere in quegli anni». Il vademecum del perfetto fascista, che Longanesi pubblica nel 1926 con straordinario successo, è un compendio del suo stile "frondista": il famoso motto «Mussolini ha sempre ragione», da lui coniato e presente nel Vademecum, si presta con voluta ambiguità sia all'esaltazione sia alla satira. Ciò consente a Longanesi da un lato di collaborare con la rivista Cinema di Vittorio Mussolini, casualmente figlio del boss; dall'altro di perculare «ogni campagna del regime: così per la battaglia del grano, come per la bonifica culturale, per la mitizzazione dell'Antica Roma, come per le mire imperiali della guerra d'Africa».

Longanesi fa della fronda una questione personale: secondo la sua teoria del cane che si morde la coda è necessario un regime totalitario che limiti le libertà personali, il diritto di critica e il diritto di satira, affinché le menti escano dal torpore indotto dai precedenti anni di benessere e scatenino una nuova potente ondata di dissenso che porti alla caduta del totalitarismo e al ritorno della libertà. In questo contesto il frondista ispirato critica dall'interno il regime, pur facendone parte ed essendone foraggiato. Tale strategia d'azione non va confusa con lo sputare nel piatto in cui si mangia, ma va piuttosto inquadrata in quel complesso di azioni correttive che vanno sotto il nome di progetti di miglioramento continuo.

Nel 1929 tenta la carriera politica, ispirandosi al pensiero: «io sono uno che rompe, è un dato di fatto. E di questi tempi, chi rompe non paga e siede al governo». Si candida dunque alle elezioni, in cui consegue il risultato di ben una preferenza (la sua), quindi si trasferisce a Roma, dove continua a editare i suoi scritti e quelli altrui con un certo successo, favorito anche dalla simpatia che riscuoteva presso il regime. Nel 1935 chiede al Gran Consiglio del Fascismo di poter assumere la direzione di un grande giornale, perché gli altri giornalisti sono «buoni a nulla e capaci di tutto». Due anni dopo, grazie anche allo snellimento dei tempi burocratici voluto dal Duce in persona, viene accontentato: nasce Omnibus, settimanale di attualità politica e letteraria. È considerato il primo vero rotocalco nonché capostipite di tutti i periodici di informazione. Longanesi non è però soddisfatto: per "grande giornale" intendeva quotidiani tipo il Corriere della Sera, Il Messaggero, La Padania, L'Unità e così via. «Non intendo essere ricordato come il pioniere del gossip ai livelli di robacce come Oggi, Gente, Cronaca vera e Donna Moderna». Quando decide di esternare il suo malcontento al Minculpop questo, presi i soliti due anni per riflettere, gli comunica nel 1939: «A bellodepapà, ce ne freghiamo delle tue aspirazioni e, visto che Omnibus non ti piace, lo chiudiamo subito». Detto fatto.

La guerra e il dopoguerra

« Quando era fascista abusava di verbi al tempo futuro; ora, democratico, si serve del condizionale! »
(Longanesi e la consecutio temporum, ma soprattutto, con chi ce l'ha?)
« Quando suona il campanello della loro coscienza, fingono di non essere in casa! »
(Anche qui, con chi ce l'ha?)

Nel 1940 l'Italia entra in guerra; nel 1942 Longanesi, con ben due giorni d'anticipo sul resto degli italiani, capisce come sarebbe andata a finire. Ciononostante, su richiesta di Mussolini, si dedica con passione al bombardamento neuronale del regime, creando slogan ad effetto come Taci! Il nemico ti ascolta!, La patria si serve anche facendo la guardia ad un bidone di benzina, O-lè-lè o-là-là faccela vede' faccela tocca', Tira via le dita dal naso, bestia!.

Nel 1943 cade il fascismo. Longanesi si ritrova costretto, suo malgrado, ad effettuare un repentino cambio di campo. Eccolo quindi esule a Napoli, dove in compagnia di Steno e Mario Soldati si dà alla propaganda antifascista con la trasmissione radio Stella bianca. Ben presto però diviene insofferente al mutamento politico e sociale: il nuovo marasma democratico, dove primeggiano nepotismo, arrivismo, raccomandazioni e linguaggi volutamente incomprensibili, gli fa rimpiangere il fascismo. «Non è che allora non ci fossero queste cose, ma io stavo dalla parte giusta, era più facile». Continua comunque a lavorare: nel 1945 pubblica e dirige Sette pepette. Settimanale di varietette, che riscuote da subito un grande successo, non corrisposto tuttavia da un adeguato riscontro economico. A questo punto decide di trasmigrare laddove da sempre gira l'economia: Milano.

L'ultimo decennio

Per un certo periodo Longanesi e Flaiano hanno fatto a gara a chi la sparava più grossa.
« L'italiano: totalitario in cucina, democratico in parlamento, cattolico a letto, comunista in fabbrica! »
(Ha dimenticato: leghista a casa sua, terrone all'estero, allenatore allo stadio, opinionista in televisione, skipper durante la Coppa America...)

A Milano dal gennaio 1946, Longanesi prosegue la sua febbrile attività, continuando a dirigere i suoi periodici, fondandone di nuovi ed entrando in competizione con la Rizzoli, con l'inaugurazione della sua nuova casa editrice Longanesi & C.. Chi fossero i C. non si è mai saputo, qualcuno ha azzardato delle ipotesi non suffragate da prove concrete.

In questo periodo il rapporto di collaborazione tra Longanesi e Flaiano si infittisce e si consolida, sembra che i due siano fatti l'uno per l'altro. Nasce una specie di gara tra i due, consci della valenza non solo simbolica dei rispettivi aforismi. La gara in realtà non è a chi crea l'aforisma più sottile, tagliente o spiazzante, bensì a chi riesce a concentrare il maggior numero di cazzate in una singola frase lapidariamente breve. Quello che dapprincipio era solo un gioco, si trasforma ben presto in un'ossessione vera e propria, con i due contendenti talmente concentrati su di essa da trascurare le rispettive famiglie, l'alimentazione e l'igiene intima. In compenso il successo è stratosferico, ma solo nei salotti frequentati da Marta Marzotto e Donna Letizia. Il resto della plebaglia italiota ripete a pappagallo le citazioni senza coglierne la reale essenza. Inizia così una moda che dura ancora oggi, che potremmo definire "citazionismo inopportuno". Incuranti degli effetti collaterali del loro passatempo, i due vi insistono per parecchi anni fino a quando, il 27 settembre 1957, Longanesi è stroncato da un infarto proprio quando aveva appena pensato l'aforisma che avrebbe messo Flaiano definitivamente al tappeto. Quindi quest'ultimo si autoproclamò vincitore della contesa per abbandono.

Ricordiamolo così

« Il paradosso è il lusso delle persone di spirito, la verità è il luogo comune dei mediocri! »
Ma vale davvero la pena di passare alla storia per ritrovarsi sul volto un annullo postale?


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