Francesco Petrarca

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Francesco Petrarca in un dipinto d'epoca.
Francesco Petrarca dimostra il suo amore per gli animali
« Il saggio muta lo stolto, ma il consiglio resta della sua opinione »
(Lo stolto saggio che esprime la sua opinione sul consiglio)
« Salute! »
(Il lettore sull'accidia di Petrarca.)

Francesco Petrarca (Arazzo, 32 luglio 1304 - Cimitero, 27 dicembre 1983) è stato un letterato, poeta, scrittore, informatico, geologo e presentatore tv, famoso soprattutto per parlare e scrivere in una lingua definita volgare per la ruvidità delle sue espressioni.

Il noto autore è da molti considerato il fondatore della lirica moderna per essere stato un depresso reietto della società che si faceva una buona dose quotidiana di seghe e pippe mentali, caratteristica comune di molti studiosi successivi.

Biografia

Nacque ad Arezzo, nell'appartamento accanto a quello di Beppe Bigazzi in una mattina di luglio[1]. Suo padre Pietro, che era un onesto notaio[citazione necessaria] guelfo, fu condannato al taglio della mano[2] per aver tentato di palpare il posteriore a una bella fanciulla ghibellina: per paura quindi di restarci secco e di non poter più né scrivere né potersi toccare i genitali, Pietro scappò in Francia, trascinando con sé sia la moglie che il piccolo[citazione necessaria] Francesco.

Francesco venne da subito emarginato dai compagni di classe fin dai tempi degli studi elementari, per i quali era chiaramente negato, perché era sospettato di essere una checca.

Questo fino all'età di 23 anni quando, voglioso[citazione necessaria] di emancipazione, decise di innamorarsi di Laura, a noi descritta come gnocca e Travis Scott.

Nel 1341 Petrarca ricevette anche il premio per Il miglior sottone a Roma, dall'amico franco-napoletano Carlo D'Angiò. Si narra che il premio sarebbe stato originariamente assegnato al collega Dante Aligheri, ma questo, impegnato a tradire la moglie con Virgilio nell'aldilà, non poté partecipare alla cerimonia.

Pare inoltre che Francesco fosse alto più di un metro e ottanta e parecchio grasso, quasi come Giampiero Galeazzi. Un uomo di tale sorta, per mantenersi, ha bisogno di un camion di cibo al giorno e pare che proprio così il giovane Francesco avesse dilapidato tutto il patrimonio paterno e privato il fratello Gherardo del mangiare, il quale per la disperazione si fece frate. Francesco invece, dato che aveva solo bisogno di mangiare, decise di farsi mantenere a vita facendosi prete, non per vocazione, ma solo per "Stare da Dio". Aspettava inoltre che Dio gli facesse piovere camionate di cibo d cielo.

L'identità di Laura

Ecco quale probabilmente dovesse essere il vero aspetto di Laura[3]

Vi sono delle ipotesi sperimentali circa l'effettiva identità di Laura, non ancora provate dagli studiosi. Nell'adolescenza il Petrarca conobbe il Dante, il quale era compagno di battaglie e di sventure di suo padre. Dante, sul punto di morire, decise di lasciare in eredità al giovane Francesco la sua miglior dose di funghetti allucinogeni[4]. Questi funghetti affascinarono fin da subito il Petrarca, che ne apprezzava tutti gli effetti; quindi Laura altro non sarebbe stata che un'allucinazione: o meglio una vecchia laida, sposata e con le tette cadenti per aver allattato 11 figli nel corso della sua vita, che l'effetto magico dei funghetti aveva trasformato in una splendida fanciulla bionda. La seconda ipotesi, forse la più credibile, è che Francesco non avesse mai avuto donne in vita sua e l'unica a soddisfare il suo vago augellin fosse la cara mano Federica. Tuttavia se nelle sue poesie avesse chiamato l'oggetto del suo amore con quel nome, sarebbe stato etichettato come pippaiolo sfigato per tutta la vita. Così, per non farsi scoprire, decise di cambiare il nome della sua mano in Laura. A questa oscura entità egli dedicò il Canzoniere, una raccolta di storie di qualsiasi genere trasposte su carta le quali hanno avuto solo l'effetto di produrre altre storie in altri studenti maschi che pensavano a quella figona di Laura. Durante la difficile adolescenza di Francesco, non era raro che la domenica, tra una pippa e una flirtata con l'immaginaria Laura, non riuscisse a ritagliarsi il tempo per andare a Messa: per questo parla di come questa povera amica immaginaria la distrae da Dio.

Gli anni fuoricorso e gli esami al Cepu

Dopo l'incontro con Laura la vita di Francesco cambiò radicalmente: smise di studiare giurisprudenza e passò la sua vita a cazzeggiare in giro a cavallo per l'Europa e a cercare antichi libri per il solo gusto di sniffare le muffe in essi contenute.

Fu proprio durante un delirio da funghi cartaiuoli che compose la sua opera latina più importante: il poema Africa, che tutto era fuorché un appello per aiutare i negri del terzo mondo. Francesco rimase così soddisfatto dell'opera che pensò di recuperare tutti gli anni universitari persi e, per intercessione del suo allora ragazzo Stefano Colonna, chiese una laurea honoris causa sia al re di Napoli che al re di Parigi. Ad accettare fu il re di Napoli, a patto però che Francesco sostenesse presso di lui un esame CEPU per la facoltà di lettere e filosofia. Inutile dire che Francesco riuscì a passare l'esame: questo perché al CEPU chiunque si chiami Francesco riesce spudoratamente a passare con 30 e lode. Si laureò con 66/110 alla Sapienza di Roma.

Il ritiro ad Arquà

Divenuto vecchio e dopo una vita piena di ambizioni e seghe mentali, decise di sparire dal mondo e di ritirarsi ad Arquà, una località veneta dove finalmente avrebbe potuto mangiare gatti in santa pace in compagnia dei suoi 10 figli illegittimi avuti da laide vecchiacce che l'erba, nel corso della sua vita, gli aveva fatto apparire come strafighe da paura. La sua mano Laura morì il 6 aprile 1348, esplodendo a causa di un bubbone formatosi per la peste: da un lato per Francesco fu una brutta esperienza che lo lasciò disperato e affranto, dall'altro fu un vanto, perché poteva finalmente paragonarsi a Muzio Scevola, uno dei suoi cari romani e perché così rimaneva solo col vecchio buon Dio che gli inviava pasti stratosferici dal cielo.

Il vecchio, monco Francesco trascorse i suoi ultimi anni a leggere e a fare il contadino sui colli veneti, ma fu proprio un eccesso di studio a farlo morire da vero nerd: con la testa appoggiata sull'Eneide.

Note post mortem: i petrarchisti

Invidiosi del successo che ebbe quello sfigato di Francesco, i suoi compagni di classe sopravvissuti cominciarono a rubare tutti i componimenti sepolti nella sua tomba per copiarli spudoratamente nel tentativo di cercare di raggranellare un po' di pecunia. Questo esercito di uomini fu battezzato dagli storici come "movimento petrarchista". Nel capitolo seguente si analizza un testo di orma petrarchesca prodotto da uno di questi inutili personaggi, in cui si racconta un'esperienza patita in passato dallo stesso Francesco.

Interpretazione di un testo di orma petrarchesca: Augellin vago canoro

Ecco il bellissimo Francesco in un momento di massima ispirazione.

Prima quartina

« Augellin vago e canoro

tu sospiri il colle e'l prato
e pur sei tra lacci d'oro

dolcemente imprigionato. »

Nella prima quartina apprendiamo come il giovane Francesco spendesse la maggior parte del suo tempo a spararsi seghe a destra e a manca, sui colli e nel prato, ambendo al monte di Venere (il colle) e a un bel pelame fitto fitto (prato) e intanto il suo uccello si innalzava (in volo?) pur essendo legato come un salame con dei lacci dorati di scarpe All Star, metodo che forse all'epoca funzionava da anticoncezionale. E si sa che in quei momenti, ogni costrizione da quelle parti fa un male cane...

Seconda quartina

« Pur senza mai posare

e l'ali e'l piede sempre
in perpetui giri
vago augel ti raggiri, ei tuoi concenti

sembran note de gioia e son lamenti. »

Francesco, nel dedicarsi al suo onanistico piacere, ovviamente non si fermava mai, né con la mano (per ovvi motivi) né col piede, perché cambiava posto in continuazione per paura di farsi scoprire dagli amici. Nonostante il povero uccello sia letteralmente strapazzato da Francesco, esso incredibilmente non si stanca di adempiere al processo di innalzamento naturale. Ciò sembra un segnale di salute, ma Francesco sa che comunque, continuando così, il suo povero coso chiederà pietà, e si affloscerà spontaneamente nei versi sembran note di gioia e son lamenti.

Terza quartina

« Io t'intendo canoro augelletto,

vai piangendo la tua servitú,
e vorresti d'ameno boschetto

le bell'ombre godere ancor tu. »

Il povero ragazzo capisce che comunque l'apertura alare (leggi espansione in verticale) del suo uccello è solo un mero riflesso fisiologico allo sfregamento, e non un vero segnale di porcino piacere. Perciò Francesco capisce che se il povero paletto fosse dotato di vita propria, si ribellerebbe contro la servitù della mano insalivata che sale e che scende e scapperebbe in un boschetto, dove all'ombra degli alberi troverebbe rifugio in una vera caverna.

Quarta e quinta quartina

« Ma del tuo duol fatta pietosa, Irene

scioglie le tue catene,
con la destra di neve
apre l'anguste porte
alla bella prigion dove sei chiuso,
e tu rapido e lieve
del primiero volar riprendi l'uso;
scorri dell'aria i campi e fai ritorno
sú le cime de faggi e degl'abeti

a salutar col tuo bel canto il giorno. »

Francesco è inaspettatamente fortunato: il suo solitario piacere infatti non è scoperto da un suo compagno di corso di giurisprudenza (che lo avrebbe preso per culo tutta la vita, se solo l'avesse visto), ma una bella ragazza di nome Irene: in poche parole la vera figa di cui l'uccellone era affamato. Nel vedere Irene, Francesco è così emozionato che il suo orgasmo, candido come neve, gli imbratta tutta la mano destra... e in un impeto di foga gli viene addirittura di liberare il bel volatile, pur se tutto inzaccherato. Questa azione fa molto onore al suo paletto, il quale riprende a essere usato come natura vuole, penetrando nella foresta di Irene (cime dei faggi e degli abeti) e non è più usato come un semplice mezzo onanistico per giovani poeti ciccioni sfigati.

Ultime due quartine

« Quanto invidio i tuoi bei voli

augeletto fortunato,
son anch'io preso e legato
ma non ho chi mi consoli.
Mi lamento e grido ogn'ora
per desio d'esser disciolto,
ma mi tien tra lacci avvolto

l'empia Irene e vuol ch'io mora. »

Peccato però che la bella storia con Irene era solo un sogno che Francesco aveva appena fatto nel suo impeto segaiolo e, perché no, anche aiutato da una massiccia dose di funghetti. Infatti rendendosi conto che l'orgasmo era il semplice frutto della sua mano, comincia a invidiare quel sé stesso che appariva con Irene nella fantasia erotica. Perciò si rende conto di essere solo un ragazzotto obeso che ha un disperato bisogno di figa e ogni ora la invoca, lamentandosi della sua assenza e chiamando invano il suo nome. Irene è solo l'immagine di una perversa fantasia erotica che gli annebbia il cervello e proprio perché trattasi solo di una fantasia, Francesco soffre così tanto che gli sembra di morire. Altra interpretazione potrebbe essere che magari Irene esisteva per davvero, ma piuttosto che darla a Francesco avrebbe preferito vederlo morto.

Onorificenze

  • - Granduca di Stafava
  • - Segaiolo maestro d'arme e d'odor

Voci correlate

Note

  1. ^ Col bene che ti voglio... ahi ahi ahi ahiahi!
  2. ^ E probabilmente anche di un'altra cosa.
  3. ^ Ammesso si trattasse di una donna e non semplicemente della mano masturbatoria di Francesco.
  4. ^ Con l'aiuto dei quali poté scrivere la Divina Commedia.


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