Fausto Coppi

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Due gocce d'acqua.
Per quelli che non hanno il senso dell'umorismo, su Wikipedia è presente una voce in proposito. Fausto Coppi
Fausto Coppi : Dite, buon uomo, vado ben per la Madonna dell'Alpe?
Buon uomo : Diocàn, mi pari Bartali!
Fausto Coppi : D'oh!

Angelo Fausto Coppi (15 settembre 1919 - 2 gennaio 1960) è stato un tizio perennemente in ritardo: per recuperarlo si costrinse a pedalare furiosamente per tutta la vita. A volte ci riuscì, altre volte no. Nell'ultimo caso arrivò con troppo anticipo.

Definito "il Campionissimo", e questo è comprensibile, o "l'Airone", e questo è un po' meno comprensibile, fu il ciclista più famoso e vincente dell'epoca d'oro del ciclismo, quella in cui il termine doping era solo un anglicismo incomprensibile e gli atleti erano pompati a dovere con steroidi iniettati nei loro panini col salame alla luce del sole.

Infanzia e acne giovanile

Difficile immaginarlo senza bicicletta.

Fausto Coppi nacque nell'alessandrino, quinto di quattro figli. I genitori erano proprietari di alcuni terreni coltivati a granturco e vite, cosicché a casa Coppi polenta e vino non mancavano mai. Il problema era che mancava tutto il resto. Questa monotonia alimentare provocò ben presto attacchi di scorbuto e cirrosi a tutta la famiglia. La situazione migliorò quando i genitori di Fausto dedicarono un fazzoletto di terra alla coltivazione di verze e cavolfiori.

Il giovane Fausto venne mandato a scuola, ma al termine delle elementari gli stessi insegnanti lo riconsegnarono ai genitori "perché di bidelli ne abbiamo già troppi".
A quell'epoca solo i ricchissimi e i ricchionissimi potevano permettersi di proseguire gli studi, quindi Coppi fu mandato a bottega presso un salumiere di Novi Ligure: doveva effettuare consegne a domicilio in bicicletta. Iniziò a conoscere molte casalinghe annoiate, che si rivolgevano al salumiere per spezzare la monotonia di postini e idraulici. Coppi si era addirittura inventato una filastrocca che recitava alle clienti:

O meritato premio
delle più nobil dame
oggetto d'infinito desio
grosso salame...

Pare che le casalinghe, udita la poesiola, si eccitassero abbestia.

Carriera da dilettante

Con le mance elargitegli dalle casalinghe, Coppi poté comprarsi una bici nuova e partecipò alle prime gare, senza iscriversi a nessuna di esse, vincendo sempre ma venendo regolarmente squalificato e non di rado preso a calci dagli organizzatori: nessuno gli aveva spiegato il meccanismo di iscrizione. Perché ciò accada, bisognerà attendere il 1938.

Professionismo

Il famoso gesto della borraccia: eccone svelato il retroscena.

Professionista dal 1939, Coppi stupì da subito gli appassionati con le sue prestazioni: fino al 1959 prese parte a 1752 competizioni vincendone 2354, pareggiandone 381 e perdendone solo 24. Mise a segno 3124 reti (capocannoniere indiscusso dal 1942 al 1956), subendone appena 848. Vinse cinque Giri d'Italia, due Tour de France, una Champions League, tre Coppe Italia, sette scudetti e un Cucchiaio di legno al Torneo 6 Nazioni. Collezionò 643 cadute che gli fruttarono 8 fratture di clavicola, 7 di tibia, 14 di naso e 2 di sopracciglio, le più dolorose in assoluto. Gli avversari non potevano assolutamente competere con queste cifre e spesso erano relegati al ruolo di comprimari delle sue imprese. Il solo Bartali sembrava tenergli testa, ecco allora che venne a crearsi un dualismo non solo sportivo che avrebbe appassionato a lungo gli italiani. Nel dopoguerra i due atleti si spartirono vittorie, signorine e seggi elettorali, determinando quello che sarebbe stato l'ordinamento effettivo della Prima Repubblica, che sarebbe durato fino agli anni '90.

Tanti si chiedevano come potesse siffatto personaggio, sgraziato, sformato e antiestetico oltre ogni limite sopportabile, sviluppare una simile potenza in sella alla bici. Fu studiato da un'equipe di scienziati, che sentenziò che era Figlio di Dio. Fu studiato anche dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, che giunse alle seguenti conclusioni:

Coppi fu tesserato anche dalla Sampdoria, ma la FIGC non gli consentì di entrare in campo con la bici.
  • il suo fisico, in apparenza poco atletico, era molto leggero e si spostava praticamente senza sforzo;
  • la sua struttura ossea era come quella dei volatili: cava e piena d'aria;
  • le sue gambe erano lunghe e sottili (evidentemente anche questo ha la sua importanza);
  • il suo sistema endocrino funzionava a una velocità doppia rispetto alla norma;
  • era il Rocco Siffredi del sistema cardio-respiratorio: 7,5 litri di capacità polmonare e 34 pulsazioni cardiache al minuto la gente comune se le sogna.

Nessuno aveva però indagato il vero segreto del suo successo. Fausto Coppi era un essere umano abbastanza nella media, ma era nato con una malattia rara e sconosciuta, prova ne sia che non se ne parla per ignoranza, non certo per reticenza. Coppi era dunque nato affetto dalla sindrome ansiosa da ritardo. Chi ne è colpito vive nella condizione di sentirsi sempre in ritardo rispetto ad ogni cosa. Questi soggetti si presentano agli appuntamenti almeno due ore prima e temono come la peste le occasioni last-minute, nel timore di non poterne approfittare per una manciata di secondi. Quando arrivano agli appuntamenti in perfetto orario si scusano con tutti come se avessero accumulato ritardi siderali e accelerano ogni loro attività per recuperare il tempo perduto.
Coppi sfogava la sua ansia da ritardo pedalando a più non posso. Non riusciva a spiegarsi questa fretta indiavolata, come non riusciva a spiegarsi perché tutti gli altri erano così flemmatici. Però grazie ad essa vinceva e tanto bastava.

Vita privata

Purtroppo sappiamo poco della vita privata di Fausto Coppi, in primo luogo perché si tratta di vicende accadute qualche tempo fa; in secondo luogo perché siamo gente riservata, parecchio incline a pensare ai cazzi propri.
Quel poco che sappiamo però è di una pregnanza e rilevanza tali che Dagospia ci fa una pippa a due mani.

Coppi si sposò nel 1945 ed ebbe una figlia. La vita coniugale era tranquilla e monotona: lui era sempre in giro a pedalare, la moglie faceva il bucato e preparava bagna cauda a profusione, la figlia era la prima della classe (almeno a leggere l'elenco degli alunni sul registro).

Nel 1948, al termine dell'ennesima gara vinta dal Campionissimo, si presentò a chiedergli un autografo la moglie del dottor Enrico Locatelli, grande tifoso di Coppi:

« Sa, è per mio marito... lui è timido... »
(Il primo approccio di Giulia Occhini)
« Seee, dite tutte così! Allora anche questo è per tuo marito! »
(Coppi si cala le braghe davanti a Giulia Occhini)
Coppi sorpreso in flagrante adulterio.

Negli anni seguenti il ciclista e la donna iniziarono una relazione. Dapprima negarono, ma la presenza della donna a fianco del campione in varie occasioni insospettì dapprima i tifosi, poi le casalinghe di Voghera e finalmente i rispettivi partners. La relazione divenne di pubblico dominio nel giugno del 1954, una settimana dopo la conclusione del Giro d'Italia, quando entrambi lasciarono le rispettive famiglie per andare a convivere per conto loro. In quel periodo Giulia Occhini divenne famosa con il soprannome di "Dama Bianca": l'appellativo (dame en blanc) le venne dato da Pierre Chany, giornalista de L'Équipe, per il colore del montgomery da lei indossato all'arrivo della tappa di Sankt Moritz durante il Giro d'Italia di quell'anno. In realtà il montgomery della Occhini era di colore beige, ma all'epoca le immagini erano tutte in bianco e nero. E Chany era fissato con la dama e col riso in bianco.

Essendo entrambi già sposati, il campione e la "Dama Bianca" suscitarono all'epoca grande scandalo e la loro relazione fu fortemente avversata da una parte dell'opinione pubblica; il Papa Pio XII giunse a addirittura a scomunicarli con obbligo di frequenza. Coppi e la moglie si separarono consensualmente, mentre Enrico Locatelli denunciò la moglie per adulterio. Nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1954 i carabinieri, accompagnati da Locatelli, fecero irruzione a casa Coppi, ma non riuscirono a cogliere la flagranza di reato, poiché Coppi era seduto sul cesso e la Occhini stava cambiando la tappezzeria in salotto. Gli sbirri tornarono il 9 settembre, e questa volta sorpresero Coppi mentre si puliva l'uccello sulle tende e la Occhini seduta sul bidet. Lei venne subito arrestata per troiaggine coram populo. Portata inizialmente nel carcere di Alessandria, dopo quattro giorni fu rilasciata con foglio di via e costretta a recarsi in domicilio coatto ad Ancona, presso il locale convento delle Sorelle Represse Ma Non Fa Niente, con obbligo di firma in questura. Coppi venne a sua volta privato del passaporto, salvo rientrarne in possesso subito dopo, a seguito della sua denuncia di smarrimento.

Il processo successivo, celebrato nel marzo del 1955, si concluse con le seguenti condanne:

  • Coppi si beccò due mesi di carcere per abbandono del tetto coniugale e uso improprio dei tendaggi domestici;
  • Giulia Occhini, incinta, fu condannata a tre mesi di gravidanza isterica.

Entrambi usufruirono comunque della sospensione condizionale della pena e si sposarono in Messico (matrimonio mai riconosciuto in Italia). Ebbero un figlio e si apprestarono a vivere felici e contenti. Ma, come si vedrà, si apprestarono un po' troppo presto.

Morte

Il 10 dicembre 1959 Coppi, in compagnia di altri ciclisti, si recò in Africa allo scopo di insegnare il ciclismo alle tribù dell'Alto Volta, attuale Burkina Faso. Il pacchetto di viaggio prevedeva anche la partecipazione ad alcune battute di caccia al Nusbari. Al termine di una di queste, Coppi e il suo compagno di stanza, il ciclista francese Raphaël Géminiani, furono massacrati dalle zanzare e lì per lì non ci fecero neanche troppo caso, a parte la febbre a 40°C, i crampi, la nausea e il vomito. Al rientro in Europa tornarono alle rispettive abitazioni.

Coppi finalmente guarito dalla malaria.

Il 20 dicembre Coppi e Géminiani si telefonarono: non solo non erano migliorati, ma gli era pure cresciuta la muffa sotto i piedi. Quella stessa sera Géminiani perse conoscenza e venne ricoverato. La moglie allertò immediatamente uno specialista di malattie tropicali, che inviò una provetta di sangue all'Istituto Pasteur di Parigi. I medici rilevarono la presenza nel sangue del plasmodium falcimartellum, responsabile nell'uomo della malaria terzana maligna & bastarda, la forma più violenta della malattia. Géminiani restò in coma otto giorni, ma fu curato con clisteri di paté de foie gras e endovenose di chinino e si salvò. Coppi si recò invece all'incontro di calcio Alessandria-Genoa, e nei giorni seguenti andò anche a caccia e sui calcinculo.

Il 27 dicembre Coppi si mise a letto con febbre alta. Fu chiamato il veterinario del paese, che a sua volta chiamò a consulto il centralinista dell'ospedale di Tortona. I due non riuscirono a formulare una diagnosi, ma concordarono che il Campionissimo stava da cani. Nel pomeriggio del 1º gennaio le condizioni del campione si aggravarono ulteriormente, perché aveva comunque insistito per far baldoria la notte di San Silvestro. All'ospedale di Tortona giunse per un altro consulto anche il bidello della facoltà di medicina dell'Università di Genova. Coppi venne ricoverato d'urgenza prima a Novi Ligure, dove però l'ospedale era chiuso per Capodanno, e poi a Tortona. All'ammalato fu praticata una cura intensa a base di antibiotici, cortisonici, preghiere e sortilegi, ma Coppi non reagì. Morì alle 8:45 del 2 gennaio 1960, all'età di quarant'anni.

I medici avevano sbagliato diagnosi, ritenendo Coppi affetto da un'influenza più grave del consueto, nonostante già a fine dicembre la moglie di Géminiani, avesse telefonato dalla Francia per avvertire che al marito era stata diagnosticata la malaria. Per tutta risposta fu apostrofata come ciuccialumache erremosciosa. In più, i medici italiani ne dissero quattro ai loro colleghi d'oltralpe:

« Continuate a curare i vostri pazienti con impacchi di camembert, che qui in Italia la medicina la facciamo seriamente! »

Anche nel sangue prelevato a Coppi fu trovato il plasmodium falcimartellum, ma la provetta fu gettata nei rifiuti con un moto di stizza:

« Come si permettono di aver ragione, 'sti stronzi? »


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Questa è una voce di squallidità, una di quelle un po' meno pallose della media.
È stata miracolata come tale il giorno 5 aprile 2015 col 37.5% di voti (su 8).
Naturalmente sono ben accetti insulti e vandalismi che peggiorino ulteriormente il non-lavoro svolto.

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