Disastro del Vajont

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« I miei reumatismi non sbagliano mai! Stanotte farà acqua! »
(Anziano longaronese la sera del 9 ottobre 1963)
« Noi l'avevamo previsto! »
(Maya sul disastro del Vajont)
« Bugiardi! L'ho detto prima io! »
(Tina Merlin)
« L'acqua è vita! »
(Propaganda della SADE)
Il monte Toc in tutto il suo infausto terrore...

Dicesi strage del Vajont disastro del Vajont una conseguenza piuttosto infausta di una maldestra operazione di irrigazione per scorrimento laterale atto a dissetare le colture di fragole della valle di Longarone, ma che, a causa di alcuni infinitesimali errori di calcolo[eufemismo necessario] superò fortuitamente ogni aspettativa creando una gigantesca quanto insperata area coltivabile al posto di numerosi paeselli abitati solo da vecchietti che non attendevano altro se non la morte.
Il pastrocchio è avvenuto tra il 9 e il 10 ottobre 1963, quindi si può dire che avvenne il 9 e ½ ottobre 1963. I protagonisti di questa vicenda sono:

  • La diga, imponente e spaccona, quella che la faceva da padrona e invece è stata aggirata come un'allocca dall'acqua come i nazisti fecero con la Linea Maginot.
  • Il monte Toc, fratello del monte Tic, che ha avuto la bella idea di farsi un tuffo in piscina a bomba e, come suol succedere con ogni ciccione che si rispetti, ha schizzato violentemente tutti i presenti nelle vicinanze.
  • L'acqua, della quale si decantano sempre glorie e virtù e invece, a conti fatti, fa più casini che mai.
  • Longarone e altri paeselli che a quei tempi spuntavano come funghi, che ebbero la sfiga di crescere proprio sotto un miliardo di metri cubi d'acqua.
  • La SADE (Società Atta a Determinare Ecatombi), società incaricata per i lavori di progettazione e costruzione della diga, che cambiò nome in ENEL per non essere confusa col famigerato marchese, poiché in verità era di Giuseppe Volpi Mazzanti Viendalmonte, visconte di Mezzato arciduca di Misurata, che con gran caparbietà riuscì a far passare il progetto illegale trasformandosi in fascista durante l'era Mussolini, ma anche in antifascista (ma solo dalla Svizzera per corrispondenza) al termine della Seconda Guerra Globale.
  • Il professoron Carlo S(c)emenza, incaricato di taroccare contraffare adattare i progetti e gli studi geologici e incrementare la produttività della diga.

Eventi

Antefatto: perché costruire una diga proprio sul monte Toc, chiamato così proprio perché cadeva a tocchi (pezzi)?

Uomini e animali si dimostrarono entusiasti quando fu loro annunciato che avrebbero abitato 300 metri sotto il livello dell'acqua.

Sul Piave, che aveva smesso di mormorare da anni, erano già state costruite altre dighe idroelettriche, ma non portavano che un'ottantina di milioni di metri cubi d'acqua. L'arconte Volpi, sentendo profumo di guerra, era seriamente intenzionato a costruire una banca dell'acqua per lucrare smodatamente soddisfare le ingenti richieste di energia delle industrie belliche o civili che fossero. I segugi del nobiluomo scoprirono che dalle parti di Casso, Erto e Longarone vi fosse una gola profonda e stretta[Riferimento sessuale involontario]. Calcolarono che in quel tratto dell'affluente del Piave si potessero stipare più o meno sessanta milioni di metri cubi d'acqua. Decisero che quello per loro era il luogo ideale, nonostante il geologo, smuovendo alcune pietruzze, avesse fatto franare un'intera parete di arenaria su un gregge di pecore che pascolavano più a valle.

Eppure qualcosa sembrava sconsigliarlo

Uno dei test effettuati in laboratorio su un modello in scala 1:2000 della diga.

Che l'area fosse tutt'altro che stabile lo dimostrano dei documenti storici risalenti addirittura a Catullo, che parla di una frana che cadde sul fondovalle, sbarrandolo. Sempre in zona, avvennero frane nel 1347, 1737, 1814, 1868. Si staccarono in particolare dal monte Antelao, provocando vittime e danni considerevoli. Nella vicina vallata di San Lucano, avvennero frane nel 1748, 1908 e 1925. A questo punto, visto che a tutto c'è un limite, era logico pensare che non ci fosse più nulla da franare. Comunque, era improbabile che circa tre chilometri di terriccio malmesso decidessero all'unisono di cadere assieme, le antiche rivalità tra le argille e i calcari marnosi scongiuravano una presa di posizione solidale. Questa considerevole deduzione scientifica[mica cazzi] fu il punto cardine sul quale poggiava la convinzione che tutto sarebbe filato liscio. Ben altro ragionamento fu necessario per il "problema pioggia" che, come fatto notare da illustri e fradici periti (incautamente privi di ombrello), da quelle parti si presentava spesso e volentieri. Questo poteva rappresentare un potenziale pericolo per il bacino idrico, ma la soluzione era a portata di mano: bastava installare una grossa sirena a Longarone ed istruire la popolazione, qualora ce ne fosse stato bisogno, una volta azionata, tutti dovevano tirare lo sciacquone simultaneamente.
Per il resto, si presero tutte le precauzioni possibili: Semenza si diede una generosa grattata di coglioni, qualcuno incrociò le dita, tanti altri rivolsero una preghiera a Padre Pio.
Tutto questo fu però inutile, se la sfiga ti prende di mira non c'è rituale che possa salvarti, checché ne dica il Mago Otelma. In effetti, l'imprevisto fu che mezza montagna decise di sfuggire all'insolita calura di quell'inizio di ottobre con un tuffetto nel bacino. Con chi vuoi prendertela, con ottobre?!

Atto primo: progettazione e costruzione

Considerando l'elevata estensione dei campi di fragole e mirtilli da bagnare in vallata le menti della SADE pensarono bene di costruire un muro di sbarramento di estensioni saturniane, cosicché si potesse usufruire dell'acqua anche negli anni bisestili, che un giorno in più, non si sa mai, poteva benissimo sballare il calendario di irrigazione, o quello di Frate Indovino.
Il primo intento del Semenza, noto furbone di tre cotte, consisteva nel piazzare un mega-canotto tra le chiappe del Toc e tingerlo color cemento. Se la sarebbe così cavata con una montagna di tempo risparmiato e un montagnone di quattrini intascati. Poi gli venne un'idea migliore:

L'architetto Semenza, soddisfatto della sua opera, inaugura, a modo suo, il bacino della diga del Vajont.

scaricò camionate su camionate di mattoncini LEGO, dei quali in quel periodo impazzava la moda in quanto da poco inventati, alle appendici del monte. Poi si mise col megafono nella piazza di Longarone e cominciò a strepitare:

« VENITE! VENITE! GRANDE GARA DI COSTRUZIONI DI DIGHE COI MATTONCINI LEGO!!! COSTRUITE LA DIGA PIÙ SOLIDA E IMPONENTE E VINCETE UNA INNOVATIVA RADIO A COLORI!!! »

Non l'avesse mai detto.
Riuscì appena a terminare l'annuncio che qualunque essere vivente nel raggio di 6 chilometri si precipitò nella vallata a incastonare pezzi di plastica e a urlare come un ossesso.

Un particolare della diga oggi: il cemento non ha retto ma i mattoncini sì. Ne furono usati circa 180 milioni.

In 29 secondi netti, quattordici morti, numerose proteste per presunto gioco scorretto e tre anni prima dell'arrivo dell'autorizzazione dello stato, la diga del Vajont venne eretta. Era un mostro di 265 x 30 metri, della capacità di ben due Giuliano Ferrara e mezzo e dal peso complessivo di 88 chilogrammi.
Non s'era mai vista simile maestosità nel Bel Paese, persino il Semenza sembrava incredulo d'esserci riuscito. Ma in tutta quella bellezza egli sapeva che c'era ancora un cappio dal quale doveva liberarsi. Non era la prova di resistenza della diga. Non era il test di efficienza del bacino idrico. Non era il problema di nascondere il centinaio di miliardi che gli era stato anticipato dal quale, a cose fatte, non sottrasse altro che la spesa per i LEGO. Nulla di tutto questo.

« E mo' dove cacchio la trovo la radio a colori? »
(Semenza davanti a un'orda di popolani furiosi e bramosi di premi promessi.)

Atto secondo: collaudo

La prima prova d'invaso fu una vera faticaccia. Si doveva fare arrivare l'acqua per riempire il vascone da un'affluente secondario anch'esso munito di diga, che purtroppo a causa di eventi che capitano, crollò. Fortunatamente l'onda distrusse così pochi, e a dirla tutta anche piuttosto squallidi, paesini e nessuno se ne accorse, tranne la solita rompicoglioni della Merlin che gridava alla tragedia. Poco tempo dopo, in Francia crollò un'altra diga costruita dalla SADE, e lì i morti furono parecchiotti ma, cosa più grave, erano state rase al suolo centinaia di ettari di terra coltivata a champagne. Quando finalmente riuscirono a fare arrivare acqua alla diga ecco che la montagna cominciò a muoversi.

« Ragazzi, ho un'ideona! Se riempiamo il bacino in un botto crolla tutto, facciamo una cosa: riempiamo e vuotiamo a poco a poco, così crolla un po' alla volta! »
(I geniali ingegneri trovano la soluzione.)

Questo movimento ebbe l'effetto di mangiucchiarsi quello che restava del piede della montagna.

Atto terzo: il pastrocchio (o il successone?)

Lo specialista austriaco Leopold Müller ha finito la colla vinilica e guarda preoccupato la crepa.

Alla fine dell'estate del 1963, poiché i sensori rilevarono movimenti preoccupanti del monte Toc, venne deciso di diminuire gradualmente l'altezza dell'invaso, sia per scongiurare il distacco di una frana, sia per evitare che una possibile frana potesse provocare un'onda che scavalcasse la diga. Per ottenere lo scopo, furono valutate un paio di idee particolarmente geniali:

  1. far circolare la voce che l'acqua del bacino era miracolosa, che alcuni paraplegici erano tornati a camminare e che ad una pensionata novantaduenne di Erto erano tornate le mestruazioni;
  2. scaricare nel bacino 1200 cisterne di sciroppo concentrato di tamarindo ed invitare gli abitanti della provincia di Belluno a farsi gratis un bel bicchierone di bibita rinfrescante.

Il successo era garantito ma l'iniziativa fu abbandonata, le ditte contattate non avrebbero mai prodotto in tempo un così elevato numero di bicchieri di plastica.
Passano circa due mesi, sono le 22:39 del 9 ottobre 1963, il fronte franoso del Toc si è stancato delle solite lungaggini burocratiche italiane e, senza i permessi necessari, decide di concretizzare quanto già annunciato a più riprese: frana.
Grazie all'ausilio della figura al lato, siamo in grado di ricostruire le fasi salienti del disastro.

La dinamica del disastro ricostruita dai defunt periti.
  1. Il Toc "scodella" (in soli 20 secondi) 270 milioni di metri cubi di rocce e terra nel bacino. Per ridicolizzare quegli incompetenti che avevano fatto le prove in laboratorio, lo fa molto velocemente e con due grossi blocchi, invece che lentamente e in piccole quantità (come ipotizzato dai cervelloni).
  2. La prima onda distrugge alcune località in comune di Erto e Casso sulla sponda opposta. Urtando si divide in due parti le quali, dopo una breve discussione sul da farsi, decidono di andarsene ciascuna per proprio conto. Ogni tanto si telefonano ancora.
  3. La seconda onda si dirige verso l'alto, sfiora le abitazioni di Casso e, animata da fervente indipendentismo, va a scavare il bacino del nuovissimo laghetto di Massalezza.
  4. La terza onda (circa 50 milioni di metri cubi d'acqua) si dirige verso il ciglio della diga e, dopo una adeguata rincorsa, effettua un prodigioso salto in perfetto stile Fosbury, precipitando nella stretta valle sottostante.
« Poteva bastare? ...nemmeno per sogno. »
A sinistra: Longarone, 9 ottobre 1963. A destra: Longarone, 10 ottobre 1963.

Raggiunto il greto sassoso del Piave, per fare ancora più danni, la gigantesca onda carica consistenti detriti e, in un eccesso sconsiderato di perfidia, li usa per distruggere quasi completamente Longarone.
È stato stimato che l'onda d'urto, dovuta allo spostamento d'aria, fosse di intensità eguale (se non addirittura superiore) a quella generata dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima. Giambattista Brigadon, assiduo frequentatore di osterie (ancora in giro a quell'ora), riuscì a pensare: "Cazzo ci fa la bora a Longarone?!", subito prima di essere spazzato via.
Alle 5:30 del mattino giunse sul luogo un primo reparto di alpini per portare soccorso. Il colonnello in comando chiamò la base leggermente piccato:

« Sarebbe ora di aggiornarle queste mappe di merda, qui non c'è nessun paese. »
(Il Col. Alfio Maria Pantegana redarguisce alla radio il caporale Rampozzini.)

L'equivoco durò poco: richiamati dalle grida di dolore gli alpini scavarono anche a mano per riuscire a trovare i corpi dei dispersi. Il bilancio fu davvero drammatico: dei circa 2000 morti furono recuperati solo 1500 cadaveri, metà dei quali impossibili da riconoscere, poiché l'acqua squagliò le loro carte d'identità.
Se non altro le fragole vennero su una meraviglia!

Atto finale: cause, ricerca di un capro espiatorio a cui dare la colpa e altre inutilità

Il turista d'oltreoceano ritenuto all'inizio responsabile del disastro.

Qualcuno mise in giro la voce che uno stupido turista americano, in cima al Toc, stava piantando i picchetti della canadese con troppa foga. Questa eccellente pensata nascondeva il bieco tentativo di abbattere il debito con l'America accumulato nel dopoguerra. Lo yankee effettivamente c'era e lo si vide surfare sulla gigantesca onda solo per qualche secondo.
Dopo aver scartato il surfista (per non perdere la credibilità internazionale) le indagini si concentrarono nel dare risposta ad una delle seguenti domande:

  1. Se era prevedibile, "chi non aveva previsto?"
  2. Se era davvero imprevedibile, "chi non aveva imprevisto?"

Siccome la seconda frase pareva brutto anche a dirla, fu lasciata da parte. Si tentò quindi di stabilire chi non era stato abbastanza previdente. "Diamine, le prove erano state fatte! Cosa era sfuggito agli attenti ingegneri?"
Riguardando i test effettuati sembrava tutto fatto a regola d'arte: centinaia di fogli pieni di inchiostro, calcoli complicatissimi, formule di fisica vettoriale, previsioni meteo del Colonnello Bernacca, il resoconto delle prove effettuate con la breccia per simulare la frana, qualche infantile scarabocchio, non mancava davvero nulla. La commissione incaricata dal Ministero dei Lavori Pubblici ci perse il sonno. Due di questi periti, il geom. Pinzagatti e il dott. Pallarigida, discutevano animatamente presso il Bar del pescatore di Soverzene, quando all'improvviso:

« Fare la prova con la breccia è stato un errore. »
(Avventore del bar.)
Per un breve periodo gli investigatori indagarono anche su Sigmund, un castoro altoatesino che aveva perso la gara di appalto per la costruzione della diga.

Furono interrotti da un muratore del luogo, tale Girolamo Branzin, che aveva udito (e non poteva davvero farne a meno) l'accesa conversazione. I due chiesero al grezzo individuo di argomentare la sua affermazione. Il Branzin li classificò con una rapida occhiata e decise che serviva un esempio. Si avvicinò al cappuccino di Pinzagatti e ci versò dentro un abbondante cucchiaiata di zucchero, niente. Puntò quello di Pallarigida e stavolta ci tirò dentro due zollette, il perito si insozzò la cravatta di caffellatte.

« Fare la prova con la breccia è stato davvero da mona. »
(Il Branzin che rincara la dose.)

Illuminati dallo sconcertante e inaspettato esperimento, i due saltarono la colazione e corsero in ufficio. In effetti, che prima o poi ci sarebbe stata una frana sul Toc era cosa certa, si era tentato di stabilire quanto poteva essere dannosa, a quanto pare: in malo modo. Si era dato per scontato che franasse a rate (un paio di metri cubi al mese) e molto lentamente, o che in qualche modo, prima di immergersi, la frana sentisse se l'acqua fosse almeno tiepida.
Un approccio che cozza irrimediabilmente col buon senso, è come dormire sotto la spada di Damocle e sperare che possa cadere di piatto invece che di punta, o come lasciare il cane chiuso in casa per due settimane e sperare che non vada a cagare proprio sul tappeto persiano.

E i colpevoli?

La maggior parte erano già morti di vecchiaia al momento del processo, arconte compreso. Tra i rimanenti, una parte si difese asserendo che eseguiva ordini di quelli morti di vecchiaia, l'altra in quel periodo era a casa in malattia.

Una rarissima foto dell'ultimo stabilimento SADE rimasto ancora in piedi (anzi sotto...), dopo che i dirigenti si sono dovuti sotterrare!

E i colpevoli?

Ma insomma! Voi italiani, sempre a cercare colpevoli e mai soluzioni! Se proprio ci tenete a saperlo furono condannate parecchie persone: tre operai a sei mesi di lavori socialmente utili per non aver indossato il caschetto anti-infortunistico regolarmente consegnato loro da SADE; un vigile urbano fu multato per non aver apposto correttamente il cartello caduta massi; a tre mesi di silenzio stampa fu condannata Tina Merlin per aver gufato per tutto il tempo. Contenti adesso?

La diga oggi

Una cosa che nessuno ha mai capito e che bisogna precisare ostinatamente è che la diga del Vajont non è stata disintegrata, ma le hanno solo fatto lo scalpo. Quella maledetta montagna di sassi e lacrime è ancora lì, beffarda. Minacciosa. Non v'è più acqua dall'altra parte (c'è solo un laghetto residuo). Solo quando piove. Ma lì ora non piove più, l'acqua ha imparato la lezione e adesso se ne sta alla larga.

Ecco per cosa sono decedute quasi duemila persone...
Vabbè, ora ve lo posso dire... Ne è valsa la pena!

La diga non ha alcuna utilità in tempi odierni.
Pochi anni fa iniziarono i lavori di messa in sicurezza per permettere il riutilizzo della strada che passa sopra la diga, in modo da consentire il transito di orde di giapponesi armati di fotocamera da una parte e la caduta libera di suicidi dall'altra. Sembrava un bel progetto dopotutto, ma il terremoto in Abruzzo del 2009 fece staccare dal Toc un'altra mega-caccola di terra e sterpaglie che sommerse l'orda di giapponesi armati di fotocamera. Tratti invece in salvo i suicidi.

Curiosità

  • Durante la progettazione della diga un allora vispo Bossi tentò di infilare la sua proposta di innalzare la diga fino al cielo, attendere l'accumulo di un oceano d'acqua, bombardare la diga e spazzare via così Centro Italia e Mezzogiorno. La proposta fu scartata. Ci sarebbero stati troppi consensi.

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