Cola di Rienzo

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Cola di Rienzo mentre esibisce la bandiera del suo partito, la Rifondazione Romana.
« Ma che cazzo sta dicendo quel tizio col megafono laggiù? »
(Frati minori su Cola di Rienzo)
« Boh, cioè, chissenefrega! Ha detto di occupare! Seguiamolo! »
(Altri frati minori su Cola di Rienzo)

Cola di Rienzo è stata una famosa bibita fugacemente in voga durante il XIV secolo a Roma, ideata da Nicola di Lorenzo Gabrini (per gli amici "Colaboccali", in quanto era completamente astemio), pericoloso sovversivo romano, più comunemente noto, tuttavia, per l’invenzione della cannuccia da frappè.

Per quelli che non hanno il senso dell'umorismo, su Wikipedia è presente una voce in proposito. Cola di Rienzo

Biografia

Nacque a Roma nel , quindi in un Medioevo piuttosto basso, da una prostituta alcolizzata che, alla richiesta del piccolo Cola di conoscere il nome del proprio papà, seppe dargli solo una lista di settantotto nomi. Cola crebbe quindi in una famiglia numerosa. Dedito fin dalla più tenera età a sane passioni giovanili, tra le quali, oltre all’alcol, spiccavano la cleptomania e il gioco d’azzardo, e accumulata una piccola fortuna grazie a un giro di scommesse clandestine sulle corse degli scarafaggi, alla tenera età di dodici anni Cola mise in piedi l’impresa che avrebbe segnato la sua ascesa: la bevanda Cola di Rienzo. Il nuovo prodotto ebbe grandissimo successo e nel giro di pochi anni tutti i potentati, i nobili e i cardinali di Roma bevevano la sua Cola. Cola divenne anche un appassionato writer, celebre già allora per aver raffigurato il Papa in mutande sul retro di Palazzo Orsini, scampando alle rappresaglie dei temutissimi Celerini Svizzeri nascondendosi in un cassonetto dell’organico.

La situazione iniziò però a precipitare quando Cola decise di eseguire proprio nel mezzo del Campidoglio un gigantesco murales, raffigurante un trenino di cardinali intenti ad attività non certo consone alla puritana morale dell’epoca. Tra di essi, il terribile inquisitore Stefano Colonna, che da allora fu soprannominato dal volgare popolino con l’appellativo di “colonnina” o anche “mezzo capitello”.

La discesa in campo

Ben comprendendo che il solo modo di scampare ai suoi problemi giudiziari era lanciarsi in politica, Cola decise di candidarsi alle elezioni con un partito fondato coi soldi della sua Cola. Il nuovo partito, denominato Partito del Libertinaggio, non ebbe però molto successo e Cola si trovò nuovamente assediato da celerini, esorcisti e bevitori. Tutto sembrava ormai perduto per il giovane graffitaro, che tentò anche di suicidarsi lanciandosi dalla finestra dello scantinato (il tentativo finì con un trauma cranico e la scoperta dell’affresco più realistico della storia dell’arte medievale, la celebre Finestra sulla Fogna di Piervincenzo Carciofoni).

La situazione giunse però a un punto di svolta durante il secondo tempo della partita di rugby Stato PontificioRepubblica di Venezia, alla quale Cola, grandissimo tifoso dei pontifici, si era recato. Durante una dubbia concessione di un calcio di rigore da parte dell'arbitro contro la squadra capitolina, Cola organizzò un'invasione di campo e si ritrovò alla testa di 10 mila persone che lo seguivano e lo incitavano qualunque cosa facesse.

La Comune

La kupola di San Pietro ke viene okkupata da kazzoni ke skrivono kon le "K".

Cola colse al volo l’occasione della sommossa e, rivelata la sua vera identità e impadronitosi di un megafono strappato a un frate pauperista che stava arringando la folla (e che dovette stordire a colpi del medesimo megafono perché stava cercando di esorcizzarlo), condusse gli ultras, come ci narra lo storico Uguccione da Gualdo Tadino, più comunemente noto come “eeh?”, fino a San Pietro, in una manifestazione che assunse da subito il carattere di una rivolta del proletariato. Cola infatti gridava nel megafono, ancora macchiato del sangue del pauperista, slogan come:

  • “Le guardie armate in sagrestia, questa è la vostra monarchia!”
  • “Baroni, marchesi, ancora pochi mesi”
  • “Né Dio, né impero, né servi né baroni”

E un misterioso “noi la crisi non la paghiamo” che sul momento non fu compreso da nessuno tranne che da un allora sconosciuto pescivendolo di nome Nostradamus.

Nella manifestazione confluì subito un gran numero di tossici in cerca di droga, universitari goliardi in cerca di una scusa per saltare le lezioni, monaci in cerca di riscatto, bulli di quartiere in cerca di violenza e delinquenti in cerca di portafogli. Anche servi della gleba accorsero alle invocazioni di Cola, dopo aver ammazzato i loro padroni a colpi di vanga. La banda di poveracci raggiunse quindi San Pietro, dove sloggiò i cardinali, che stavano tenendo un torneo di tresette col morto in occasione del funerale del cardinal Vecchiezza, lanciando una bomba carta contro il portone. Il Grande Inquisitore Stefano Colonna, acerrimo nemico di Cola, tentò invano di fermarlo con la kryptonite, ma fu travolto da una banda di servi della gleba che lo trascinarono via, tornando indietro per riunirsi alla manifestazione solo dopo svariati chilometri e lasciandolo in mezzo all’autostrada, presso l’autogrill di Borgo Panigale. Poche ore dopo i manifestanti avevano fatto irruzione nella basilica e dalle finestre di San Pietro pendeva uno striscione fatto con un telo da altare e annunciante: “Okkupatione”. Il messo papale, depositario dell’autorità a Roma, fu visto combattere con gli sgherri di Cola che cercavano di derubarlo del pastorale in oro massiccio. Due ore più tardi riapparve alla finestra con un grosso spinello in bocca e un braccio attorno alle spalle di un avvenente chierichetto e nominò Cola vincitore assoluto del campo e signore della città.

Il trionfo

Ricostruzione degli studiosi del celebre episodio della scarpa. Purtroppo la ricostruzione si concluse con un ricovero per direttissima dell'intera squadra a riconferma che non esistono più i colon di un tempo.

Cola instaurò immediatamente a Roma il comunismo. La bandiera papale col triregno fu ammainata e al suo posto issata una con falce e martello, poi il leader della rivolta iniziò subito a farsi crescere un paio di baffoni alla tartara, più consoni al suo nuovo ruolo. Per evitare che gli ultrà, che stavano già smantellando a picconate gli arredi della basilica inneggiando al loro protettore San Pietrino da Aricolpo, facessero troppi danni, bandì un concorso a chi trucidava i pochi baroni rimasti nella maniera più creativa. Vedendo in pericolo la sua vita, i suoi possedimenti e la sua collezione di nani da giardino, cui teneva più della vita stessa, l’Inquisitore Colonna si affrettò a tornare a piedi da Borgo Panigale per gettarsi ai piedi di Cola e chiedergli la grazia. Cola gliela concesse, ma solo a patto che l’Inquisitore gli leccasse gli stivali. Purtroppo per lui, guidando la rivolta Cola aveva attraversato a piedi la latrina dell’attiguo lazzaretto. Colonna ebbe salva la vita e abbandonò il palazzo portato a spalla da due servi della gleba, vomitando anche l’anima e tirando giù gran numero di santi, suscitando gravi dubbi sulla sua santità. Cola si mise subito al lavoro: nominò ministro delle finanze l’usuraio De Spilorcis, cui ordinò di confiscare tutti i beni mobili e far sradicare quelli immobili a suon di ruspe, poi, al grido di “portare l’attacco al cuore del papato”, partì con gran pompa diretto al centro balneare di Avignone, dove risiedeva il papa Clementino Quinto, spacciandosi per un predicatore millenarista e accompagnato da sei finti frati col saio imbottito di tritolo. Colà Cola ammonì la curia sul suo declino e sulla fine del mondo, accumulando due strabilioni di dollari in offerte per la salvezza delle anime, e riuscì anche a farsi staccare un cospicuo assegno da Clementino, con mezzi mai chiariti (purtroppo, si scoprì in seguito che il conto papale era scoperto). Nel frattempo i frati dinamitardi si facevano esplodere in varie zone della città, seminando il panico e distruggendo più opere d’arte possibili. Uno di essi, frate O’Shannon da Belfast, saltò in aria nel mezzo del chiostro di Sant’Emerenziana, in un tripudio di fuochi d’artificio multicolori che fu immortalato per i posteri da un gruppo di turisti nipponici misteriosamente sopraggiunto.

Il declino

A Roma, però, non tutto andava bene e al suo ritorno, tardivo a causa del carro pieno di tesori che trascinava da solo, Cola scoprì che il popolo era insoddisfatto. Eventi poco graditi avevano infatti funestato la città:

  • L’usuraio de Spilorcis, dopo aver sequestrato tutto il sequestrabile e fatto dar fuoco a tutto il resto, era misteriosamente sparito (alcuni dicevano di averlo visto imbarcarsi sul galeone del Pirata Barbanera, diretto al paradiso fiscale delle Cayman)
  • Gli ultras pontifici, dopo aver sterminato a colpi di stracchino l’ultimo barone, Arcimboldo da Grottaferrata detto il Pavido, si erano dati al brigantaggio e adesso sequestravano i viandanti, divertendosi a raccontar loro freddure fino alla morte
  • I servi della gleba rinchiusi a San Pietro, oltre a farsi di erba da mattina a sera, avevano disegnato i baffi a tutti i personaggi dell’affresco del Giudizio Universale, suscitando le ire del celebre critico d’arte Victorius de Sgarbolis detto l’Assordante, che da quando aveva scoperto il fatto s’era piazzato davanti alla basilica con una grancassa su cui continuava a battere togliendo il sonno a tutti in segno di protesta
  • Il messo papale, dopo aver svenduto al mercatino delle pulci tutti gli arredi sacri su cui era riuscito a mettere le mani, aveva fondato una setta satanica con cui organizzava raccapriccianti messe nere, terrore della cittadinanza, al termine delle quali si accoppiava pubblicamente col suo nuovo amante, un travestito brasiliano di nome Barabba
  • Per finire, l’Inquisitore Colonna, armato di un crocifisso ligneo da sei chili e di una Bibbia rinforzata in acciaio, stava marciando verso la basilica occupata in cerca di rivalsa.

Cola cercò di raggiungere la basilica prima del suo acerrimo nemico, ma fu bloccato dalla folla inferocita, istigata da un nugolo di frati pauperisti muniti di fischietti. Cola dovette scendere a patti coi pauperisti e riuscì a guadagnarsi il passaggio solo cedendo loro l’assegno di Clementino. Ma quando arrivò a San Pietro era troppo tardi: i celerini svizzeri avevano sloggiato gli occupanti e Colonna sedeva ghignante sul soglio papale, sotto l’affresco raffigurante una Madonna inspiegabilmente baffuta, brandendo la Bibbia macchiata del sangue e di pezzi di cervello del messo papale. Cola cercò l’appoggio della folla, ma proprio in quel momento giunse l’annuncio che l’assegno papale era scoperto: Cola fu imprigionato all’istante e portato al cospetto di Colonna, che nel frattempo si era fatto nominare Oscuro Signore dell’Universo e aveva dato ordine di ridipingere integralmente di nero la basilica.

Colonna, autoproclamatosi oscuro signore della galassia, sfoggia il proprio nuovo look firmato Armani. La foto, scattata da un turista nipponico di passaggio, è ritenuta da alcuni studiosi un falso.

La morte

Persa ogni dignità, Cola si ridusse a implorare la pietà di Darth Colonna, che aveva scelto come sua nuova insegna una tiara papale nera. Colonna non attendeva altro: per mesi aveva scorrazzato nelle stalle del defunto barone Sterconius senza mai pulirsi gli stivali, per ricambiare a Cola l’umiliazione di un tempo. Stoicamente Cola leccò lo strato da dodici centimetri di merda secca finché gli stivali dell’Inquisitore brillarono, poi si accasciò in preda ai conati, vomitando copiosamente sugli arredi dell’attiguo altare. Colonna ne approfittò immediatamente per farlo fustigare, impiccare, accoltellare settanta volte e decapitare; quindi cosparse personalmente il corpo di benzina e gli diede fuoco, lanciandolo giù dalla finestra dell’Angelus. Il cadavere fiammeggiante colpì in pieno De Sgarbolis, che ancora suonava la grancassa, trascinandolo con sé in una morte orribile.

Il regno del terrore del Colonna durò altri tre mesi, dopo i quali fu deposto da Clementino e, per suo ordine, sodomizzato a morte dalle guardie svizzere.

In memoria di Cola di Rienzo, i popolani gli eressero una statua a grandezza naturale in torrone mandorlato, che purtroppo non è più visibile perché a sole tre ore dall’inaugurazione era già coperta di mosche, e si dovette smantellarla. Una leggenda popolare vuole che sia morto semplicemente per una colica renale.

Voci correlate